«Non è il futuro se lo fermi. Non è forse un paradosso fondamentale?». Risponde così Danny Witwer – un meraviglioso Colin Farrell -, agente federale a caccia di errori preventivi nel sistema, nell’epico film Minority Report di Steven Spielberg, tratto da un racconto di Philip K.Dick e uscito in Italia più di vent’anni fa. Nel film la polizia riesce a impedire un reato prima che avvenga e ad arrestare i potenziali colpevoli. In questo modo non viene punito il fatto – che non avviene – ma l’intenzione di compierlo.
A sentirsi come in Minority Report è un team di avvocati francesi, già ribattezzati “gli avvocati difensori della natura”, che in una recente intervista al settimanale francese Le Nouvel Obs hanno dichiarato di fare esattamente come nel film di Spielberg e cioè “cercare di prevenire i danni ambientali”. Come simbolo del loro studio hanno un tepee – la tenda fatta di pelli dei nativi americani – e si presentano come una tribù. Hanno dato al loro studio il nome di un capo pellerossa, Seattle, che nel 1854, in un discorso entrato nella storia, denunciò la responsabilità degli uomini nella distruzione della natura: «Come potete acquistare o vendere il cielo o il calore della terra?», dichiarava il capo delle tribù Squamish di fronte ai coloni americani che volevano accaparrarsi i territori dei suoi antenati. Simbologia evocativa a parte, i sedici avvocati dello studio legale Seattle, non sono esattamente attivisti o idealisti smarriti nell’impervio mondo del diritto. I tre fondatori si sono formati in uno dei migliori studi penalisti francesi e i giovani collaboratori provengono da grandi studi legali anglosassoni. Insieme, formano una ‘tribù’ di avvocati ‘impegnati’ ma non ‘militanti’, dicono, e ancora meno ‘moralisti’, anche se questo non gli impedisce di essere in prima linea in tutti i più grandi processi ambientali. L’elenco delle cause che hanno intrapreso è impressionante: le azioni legali contro Total per obbligare il gigante petrolifero ad allinearsi all’obiettivo di 1,5°C previsto dall’Accordo di Parigi, quella per denunciare l’abuso di plastica da parte della multinazionale Danone, il processo contro la multinazionale Casino che commercializza carne che proviene dalla deforestazione dell’Amazzonia o quello contro la Bnp per il suo sostegno finanziario alle multinazionali del petrolio.
Tutti procedimenti giudiziari che rappresentano una serie di attacchi al nostro ambiente e che sono alla base degli attuali sconvolgimenti climatici, delle crisi sanitarie, della distruzione degli ecosistemi e di diverse forme di inquinamento e di contaminazione chimica, che tuttavia difficilmente vengono puniti in modo proporzionale alle tragedie che provocano per la collettività. Il degrado dell’acqua che beviamo, del cibo che mangiamo e dell’aria che respiriamo ha un costo considerevole per la società.
Eppure la giustizia ambientale si confronta con numerosi ostacoli che ne compromettono l’efficacia e il suo effetto deterrente: dalla mancanza di risorse al ritardo nell’elaborazione dei casi, e un numero insufficiente di figure specializzate. Tutto questo rende la risposta giuridica ai crimini ambientali – terza attività criminale più redditizia al mondo – ancora marginale. Per questo la storia della “tribù degli avvocati difensori dell’ambiente” in Francia, accende una speranza per il futuro della Terra e di tutti noi.
La questione climatica dà origine, dunque, a un nuovo regime di responsabilità per il futuro, in cui a prevalere è una logica anticipatoria, vale a dire facendo assumere alle aziende le conseguenze civili prima di essere condannate in sede penale. Proprio come in Minority Report, senza però gli angosciosi interrogativi morali posti da quel film. È molto discutibile che un uomo possa essere arrestato per aver avuto l’intenzione di commettere un crimine. È molto giusto che una grande impresa venga costretta a risarcire in anticipo i danni che sicuramente produrrà nel futuro a tutti noi.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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