Il cohousing si presta molto bene come soluzione abitativa a quelle persone che, pur volendo conservare la propria indipendenza, hanno bisogno di aiuto e supporto quotidiano. Anziani e persone con disabilità sono quindi i principali destinatari e beneficiari di questa soluzione. Al tempo stesso, però, è una valida risposta alla crisi abitativa.
Vivere insieme, per poter vivere da soli senza sentirsi soli: potrebbe definirsi così il significato e il senso del “cohousing”. Questa forma di abitare, nata in Danimarca negli anni ‘60, si sta diffondendo in molte parti d’Europa e anche in Italia. In parole molto semplici, si tratta di forme di abitazione in cui alcuni spazi e/o servizi sono condivisi, ma ciascun inquilino conserva la propria indipendenza.
Può trattarsi di un grande appartamento, o di un insieme di abitazioni vicine, o di un condominio. L’importante è che autonomia e condivisione coesistano, in un contesto in cui le relazioni e gli scambi siano facilitati. Questa soluzione – com’è facile immaginare – si presta molto bene a quelle persone che, pur volendo conservare la propria indipendenza, necessitino di un aiuto o di un supporto nella loro quotidianità. Anziani e persone con disabilità sono quindi i principali destinatari e beneficiari di questa soluzione. Al tempo stesso, è una valida risposta alla crisi abitativa, che vede il problema della casa cruciale per tante persone e tanti nuclei familiari. Ma vediamo meglio cos’è il cohousing partendo dalla sua storia.
Un po’ di storia
Prima di cos’è partiamo dalla nascita del cohousing. Il suo inventore è considerato l’architetto danese Jan Gudmand-Høyer, che lo sperimentò nel 1972. Nel corso degli anni ‘80, il modello si diffuse nei Paesi Bassi e in Svezia, spesso sostenuto dallo Stato. In Italia, le prime forme di cohousing si sono viste a Milano, Torino e Bologna, a partire dall’inizio degli anni 2000. Si tratta per lo più di iniziative private o di cooperative, che in molti casi si rivolgono a categorie fragili della popolazione, come anziani, persone con disabilità o senza dimora.
Cos’è il cohousing
Cos’è allora un cohousing? Un cohousing, perché si possa definire tale, deve essere innanzitutto costituito da unità abitative autonome. In secondo luogo, deve comprendere spazi e servizi condivisi (per esempio cucine comuni, orti, lavanderie, sale ricreative, biblioteche, spazi per il co-working). Anche figure di supporto e assistenziali – come colf, badanti, terapisti – possono essere condivisi. In terzo luogo, il funzionamento della comunità abitativa deve essere autogestito: deve esserci quindi una partecipazione attiva degli abitanti alla vita e alle attività della struttura.
E cosa non è
Proprio per le sue caratteristiche e la sua vocazione sociale, il cohousing non può essere confuso con altre forme di coabitazione. In particolare, il cohousing: 1) non è una comune, perché ogni persona o nucleo familiare ha una propria abitazione indipendente; 2) non è un condominio, perché è fondamentale la collaborazione attiva e la condivisione degli spazi e delle attività comuni; 3) non è una casa famiglia né una Rsa, perché non ha una funzione assistenziale e il contesto non è istituzionalizzato; 4) non è un ecovillaggio, perché non si basa sulla condivisione di un’ideologia.
Il cohousing è (anche) legge
Nel nostro Paese, le buone leggi spesso anticipano le buone prassi. Avviene così anche per il cohousing: già nel 2000 la legge 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), pur non contenendo la parola “cohousing”, di fatto ne anticipava i principi. In particolare, l’articolo 1 parlava di “sistema integrato di interventi e servizi sociali” per la “promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata”.
Nel 2016, la legge sul “Dopo di noi” (112/2016) fa invece esplicito riferimento al cohousing, come modello abitativo alternativo per favorire l’autonomia delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare. Precisamente, nell’articolo 4 si prevedono “interventi innovativi di residenzialita’ per le persone con disabilità grave, volti alla creazione di soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing”.
La Legge 33/2023 e la Riforma dell’assistenza agli anziani
Ma è soprattutto la Legge delega 33/2023, nota come Riforma dell’assistenza agli anziani, a introdurre il cohousing come soluzione abitativa per gli anziani. La legge promuove dunque la creazione di spazi abitativi condivisi, per migliorare la qualità della vita delle persone over 65. in particolare, l’articolo 3 è dedicato proprio al “Sostegno alla domiciliarità e modelli abitativi alternativi”. In particolare, l’articolo 2 prevede la “riqualificazione dei servizi di semiresidenzialita’, di residenzialita’ temporanea o di sollievo e promozione dei servizi di vita comunitaria e di coabitazione domiciliare (cohousing)”.
Entra ancor più nel dettaglio l’articolo 3, che parla di “nuove forme di domiciliarita’ e di coabitazione solidale domiciliare per le persone anziane (senior cohousing) e di coabitazione intergenerazionale, in particolare con i giovani in condizioni svantaggiate (cohousing intergenerazionale), da realizzare, secondo criteri di mobilità e accessibilità sostenibili, nell’ambito di case, case-famiglia, gruppi famiglia, gruppi appartamento e condomini solidali, aperti ai familiari, ai volontari e ai prestatori esterni di servizi sanitari, sociali e sociosanitari integrativi”.
Il cohousing può essere il futuro?
Per molti aspetti, sì. Pensiamo all’invecchiamento della popolazione e ai cambiamenti demografici: le ultime proiezioni Istat prevedono che nel 2050, per ogni 100 giovani sotto i 14 anni, ci saranno più di 300 anziani sopra i 65 anni. Questo non farà che accrescere il problema della solitudine e dell’accudimento degli anziani, autosufficienti e non. Il cohousing può indicare una direzione interessante. Non solo: la crisi economica ha pesanti ripercussioni anche sulla questione abitativa: tanto i giovani quanto gli anziani, specialmente se soli, spesso non sono in grado di sostenere le spese dell’acquisto o dell’affitto di una casa: il cohousing può – non sempre, ma in alcuni casi – rappresentare una soluzione più vantaggiosa.
Perché questo accada, però, occorre che diventi più consistente e strutturale il supporto pubblico a queste forme di abitare. Va in questa direzione il recente Decreto del Ministero dell’Interno dell’11 aprile 2024: questo stabilisce i requisiti per i Comuni che intendano accedere al fondo di 5 milioni di euro destinato a progetti di coabitazione per persone con età superiore a 65 anni. Questo fondo, istituito dalla legge di Bilancio 2022 (n. 234/2021, mira a sostenere iniziative che promuovano soluzioni abitative condivise per gli anziani.
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