Alcune persone sviluppano reazioni di forte intolleranza nei confronti di particolari rumori, che possono sfociare in reazioni incontrollate, stati di ansia e di panico. Questo disturbo si chiama misofonia e significa letteralmente “odio del suono”.
Secondo le statistiche ne soffrono in molti, spesso inconsapevolmente. Nel corso degli ultimi anni, infatti, sono state condotte numerose ricerche per identificare l’origine della patologia, ancora non accertata. Sembra, però, che la misofonia sia collegata a esperienze passate, nelle quali si è associato suono a una situazione spiacevole.
I sintomi
Appena si percepisce un suono fastidioso la prima reazione è uno stato di agitazione, ansia e rabbia. Una serie di sensazioni che possono anche sfociare in aggressività e reazioni di natura violenta. In genere si tratta di suoni e rumori comuni come il pianto di un neonato, il verso di un animale, il singhiozzare, il russare o il masticare. In alcuni casi, però, può trattarsi anche di suoni come il ticchettio di un orologio, lo squillo del telefono, lo schiacciamento di una bottiglia di plastica.
Le conseguenze
La persona che soffre di misofonia può avere una tendenza a isolarsi pur di non incontrare i suoni che gli danno fastidio. Anche se ad oggi non esiste alcun rimedio specifico, la terapia del suono può risultare efficace. Si espone così il paziente al suono fastidioso, con un’intensità da regolare in base alla sua reazione, in modo da aumentarne la soglia di tolleranza. In questo modo, il soggetto potrebbe riuscire a controllare gli effetti negativi qualora incontrasse casualmente lo stesso rumore.
Lo studio sulla connettività tra regioni cerebrali
Un recente studio ha indagato la connettività tra le regioni sensoriali e motorie alla base della misofonia, confrontando un gruppo di persone che ne sono affette con un altro gruppo di soggetti che non ne soffrono. In una prima parte dell’esperimento è stata stimata questa connettività utilizzando le analisi basate sulla Risonanza magnetica funzionale. Partendo dalla mappa delle aree cerebrali funzionalmente in assenza di stimoli specifici, infatti, è stato poi possibile analizzare il cambiamento nella connettività funzionale dei due gruppi in risposta a tre categorie di suoni (suoni attivatori, che evocano una reazione nel gruppo con misofonia; suoni spiacevoli, avversi per entrambi i gruppi, e suoni neutri). I dati delle risonanze sono stati raccolti e confrontati. E i soggetti con misofonia hanno compilato tre diversi questionari per approfondire lo stato e la natura del disturbo.
Le conclusioni dello studio
Il gruppo con misofonia, indipendentemente da età e sesso, ha mostrato una maggiore connettività funzionale dello stato di riposo tra la corteccia uditiva e visiva e la corteccia premotoria ventrale, la parte del cervello responsabile dei movimenti orofacciali (quelli che possiamo compiere utilizzando i singoli distretti come lingua, labbra, palato molle, guance, ecc). Ma anche una connettività funzionale più forte tra la corteccia uditiva e l’area motoria orofacciale durante tutti i tipi di suono. Inoltre, l’area motoria orofacciale è aumentata in proporzione al disagio riscontrato nell’ascolto dei suoni. Questi risultati hanno dimostrato che la misofonia non è un disturbo dell’elaborazione del suono di per sé ma si riferisce alle azioni che i suoni rappresentano.
Un disturbo ereditario?
Uno studio brasiliano dell’Università di San Paolo, realizzato nel 2018, ha dimostrato un’origine ereditaria della misofonia. L’esperimento ha preso in esame 15 membri della stessa famiglia, dai 9 ai 73 anni, che presentavano lo stesso disturbo sin dall’infanzia. Ed è emerso come ci sia un’associazione con altre patologie come l’ansia nel 91% dei casi, il disturbo ossessivo compulsivo nel 41,6% dei casi e la depressione nel 33,3%.
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