La quarta edizione del concorso di cortometraggi “Corti di Lunga Vita” affronta il tema dell’abbraccio e ci pone di fronte ai nostri bisogni più profondi. La pandemia ha richiamato l’esigenza di qualcosa che in parte avevamo perso, offrendo l’occasione per riflettere sul nostro modo di vivere le relazioni
La chiamano fame di pelle, Skin Hunger, è quel bisogno di contatto fisico, quella necessità biologica primaria per cui i bambini alla nascita vengono appoggiati al petto nudo della madre. Toccarsi, avvolgersi, sentire il calore di un altro corpo ha effetti importanti su di noi, e due anni di pandemia ci hanno indotti a privarci di qualcosa di essenziale, che per mesi abbiamo inibito.
Con ogni probabilità siamo stati guidati proprio da quel bisogno quando, alcuni mesi fa, come 50&Più abbiamo deciso di dedicare agli abbracci la quarta edizione del concorso di cortometraggi Corti di Lunga Vita.
Abbracciami!, un desiderio che diventa un’esortazione, quasi una supplica.
Andando ad immergerci nel tema dell’abbraccio, abbiamo scoperto che per la scienza rappresenta una tra le più importanti forme di comunicazione non verbale: influisce sull’umore, riduce lo stress, aumenta i livelli di ossitocina nel corpo, ha un effetto calmante, ha benefici legati al sonno.
Ci è mancato lo slancio dell’abbraccio, l’intimità che comporta. Abbiamo imparato la prudenza e abbiamo così sperimentato la distanza, con la fatica che l’accompagna. Ancora oggi incontrando qualcuno siamo indecisi, impacciati, ma forse a molti è capitato di pensare, almeno una volta, “Dai, abbracciami!”.
Nei corti di quest’anno troviamo molte scene di vita quotidiana: risvegli fatti di tapparelle alzate, mani impegnate nei rituali del mattino, una moka preparata, il gorgoglio del caffè che sale, il tintinnio del cucchiaino sulla tazzina. Scene che raccontano vite normali, stanze di case comuni, dove oggetti, luci e silenzi parlano di quotidianità e, spesso, di solitudine.
L’astinenza da contatto fisico traspare e caratterizza molti dei cortometraggi che sono arrivati per questa quarta edizione del concorso, dimostrando quanto gli anni del distanziamento sociale ci abbiano segnato. Sono quasi tutti giovani, in alcuni casi giovanissimi, gli autori delle opere che parlano d’invecchiamento in chiave malinconica.
Gli abbracci mancati non sono solo quelli degli ultimi due anni, i corti raccontano anche di quelle distanze dovute a conflitti, individualismo, incapacità di accettare l’altro. La pandemia ha richiamato il bisogno di qualcosa che in realtà si era già in parte perso.
Proporre questo tema e calarlo in un contesto di invecchiamento e anzianità ha spinto tanti partecipanti in una direzione ben precisa. Molte le opere che hanno interpretato l’abbraccio come sinonimo di incontro, specialmente tra generazioni. Che si tratti di nonni e nipoti, di figli e genitori, o anche di sconosciuti di età diverse, l’abbraccio è stato protagonista fisico e concettuale di un momento di scambio in cui arricchirsi e arricchire l’altro. La presenza dell’altro risulta motivo di confronto e al tempo stesso di introspezione.
Oggi possiamo finalmente ricominciare a vivere le relazioni accorciando prudentemente le distanze. Il ricordo della privazione che abbiamo vissuto potrà forse guidarci nell’andare incontro agli altri con maggiore slancio e consapevolezza, perché l’abbraccio è certamente un bisogno, ma rimarrà sempre soprattutto una scelta.
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