Maria Pia Cortellessa.
Docente di lingua inglese nelle scuole superiori di Foggia e Rimini, dopo il pensionamento ha lavorato come guida turistica in Romagna. Al Concorso 50&Più nel 2019 ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria per la prosa e nel 2021 ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa. Vive a Foggia.
«Chissà come sarebbe un figlio nostro, intendo: un figlio nato da noi due».
Lo guardo un po’ perplessa. Ma lui continua: «Ci sto pensando spesso, sai».
«Ah ecco, magari pensi pure che sia una cosa possibile».
«E perché no? Anche la cugina della Madonna…come si chiamava…».
«Ma chi? Elisabetta?».
«Sì, insomma quella, ha partorito quando era già vecchia, lo dice il Vangelo!».
Rido e il mio sguardo da perplesso si fa curioso. Decido di stare al gioco e di stuzzicarlo un po’. «Bene, ammettiamo che sia possibile fare un figlio alla nostra veneranda età. Come pensi che sarebbe fisicamente?».
«Bello come te!» risponde subito.
«Eh certo. Però dimentichi una cosa», mi tocco il naso, «sia che prendesse da te che da me, avrebbe un naso imponente. I cromosomi non hanno una grande considerazione delle operazioni di chirurgia plastica, piuttosto dipendono da come mamma ci ha fatto».
«Vero, però mettiamo che sia maschio, non sarebbe un gran problema, come non lo è stato per me».
«Uhm…e se fosse femmina? Te l’ho detto quel che ho passato da piccola e fino ai diciassette anni…».
«Comunque, statisticamente ci sarebbe il cinquanta per cento di probabilità che sia maschio».
«Ok, pensa allora al carattere: se prendesse da te, caratteraccio di merda, gli tirerei un calcio nel sedere appena inizia a camminare».
Sorridendo mi abbraccia alla sua maniera, stritolandomi come un pitone. Grido che mi fa male, ma nel frattempo lo abbraccio anch’io. L’amore fa bene, mi dico, a tutte le età.
Ripenso al nostro primo incontro, al batticuore di quella sera in cui, con la scusa della pavimentazione sdrucciolevole e dei miei tacchi alti, mi prese sottobraccio e poi mi strinse forte la mano, ed io ricambiai la stretta, come già lo sentissi mio. E poi le farfalline nello stomaco al primo bacio. E le telefonate notturne, ché tutti e due non riuscivamo a dormire e non vedevamo l’ora che spuntasse l’alba per poterci rivedere.
Insomma, tutte cose che dovrebbero appartenere all’adolescenza, tutt’al più alla giovinezza, e che invece ci hanno fatto rivivere l’esperienza del primo amore ad un’età molto avanzata, diciamo pure, alla vecchiaia.
«Ci siamo presi una bella cotta, io e te. Non riesco a non pensarti nemmeno un attimo durante tutta la giornata. E la notte, girandomi sul lato destro, allungo la mano per cercarti. E quando non ti trovo mi intristisco».
«Non fare il bambino, hai vissuto tredici anni senza una donna e sei sopravvissuto».
«Sì, ma ero sempre triste e incazzoso, lo dicono tutti che ho avuto una metamorfosi da quando sto con te».
«Quanto a incazzoso lo sei pure adesso e comunque hai lo sguardo serio anche quando stai con me».
Sorride per dimostrarmi che non è vero. Quando mi guarda con quegli occhi cerulei, dolci e maliziosi al tempo stesso, e ancora così pieni di desiderio, non riesco a resistergli.
«Oggi facciamo l’amore» mi dice con convinzione.
«Va bene, ma dopo la pennichella. Lo sai l’abbiocco che mi viene dopo pranzo».
Ogni mattina, tempo permettendo, si va nei boschi. «Passeggiare a contatto con la natura e respirare aria pulita fa bene alla salute, soprattutto ai polmoni.» E se lo dice lui che fuma un pacchetto intero di sigarette al giorno senza avere particolari problemi, a parte una leggera tosse al mattino presto, sarà pur vero. Arrivati a destinazione, muniti di cestino e bastoni, lui, generalmente pigro e talmente lento quando cammina sull’asfalto da sembrare un pachiderma, parte come un razzo, tant’è che lo perdo subito di vista. Ma non mi preoccupo. Dopo qualche minuto sento la sua voce tonante che mi chiama. «Oh, sono qua!» gli rispondo. «E perché ti allontani?» mi fa. «Ma sei tu che mi lasci sola, un giorno o l’altro finirò per perdermi!».
«Non lo dire neanche per scherzo: come faccio senza di te??».
Inutile fargli rilevare ancora una volta che ha vissuto da solo per tredici anni. Meglio optare per un «Te ne trovi un’altra, anche se la ricerca di un’altra donna che ti sopporti potrebbe risultare estenuante». Su questo è d’accordo anche lui.
Mi appare all’improvviso alle spalle e sento la sua mano pesante sulla mia testa. Ecco, mi dico, ha trovato un’altra piuma e me l’ha infilata nei capelli, proprio come fece la prima volta che mi portò fuori. Andai in giro tutta la sera con una vistosa piuma di colombaccio ficcata nel toupet, e da allora ho iniziato a collezionarle. Non sulla mia testa, naturalmente. Ne ho fatto un bel mazzo sistemandole man mano in un vasetto: piume d’oca, di gallina, di falco, di poiana, ce n’è per tutti i gusti.
«Questo sarà buono?» gli chiedo mostrandogli un fungo che a me sembra uguale agli altri che abbiamo raccolto. Mi fa cenno con la mano di buttarlo via, mentre lo guarda schifato. Spesso ha degli atteggiamenti scontrosi, quasi insopportabili, non nei miei riguardi, ma con chi gli sta antipatico. Non è un asociale, penso tra di me, solo un po’ selvatico, di quella rudezza tipica dei garganici. Se non sopporta qualcuno che gli sta sulle palle, glielo si legge subito in faccia e nei modi che ha di trattarlo: scostante, quasi scortese, insomma ai limiti della maleducazione. Non sa fingere, questa è la sua migliore qualità, ed anche quella che mi dà maggior sicurezza, perché so sempre quel che pensa. Bugie non sa dirle. A volte le spara per giustificarsi, per tamponare qualche cazzata fatta, ma sono bugie talmente grossolane che smentirle è facilissimo. Qualche omissione, dice, è consentita, ma solo per necessità o per non ferire chi ti vuol bene.
Non abbiamo molto tempo, mi dico spesso, e poi dobbiamo recuperare quello che non ci è stato dato da vivere insieme, quindi cerchiamo di sfruttare il più possibile le occasioni per goderci la reciproca compagnia. Per quanto riguarda l’argomento tempo siamo giunti ad una convenzione: ogni anno vale per sette, come per i cani, quindi ci conosciamo da circa undici anni. In effetti mi sembra di conoscerlo da una vita.
«Vieni, vieni, fai presto!». La sua voce concitata mi fa balzare il cuore in gola. Dal bagno dove sono al primo piano mi precipito giù per le scale con i battiti a mille, temo di trovarlo in uno stato convulsivo o in un bagno di sangue. Sta fermo immobile sulla veranda fronte mare, eccitato ma tutto intero, e sta osservando qualcosa in atto sulla spiaggia. Meno male, penso, niente sangue a fiotti né incendi o crolli di cornicione. Mi avvicino per scoprire cosa abbia provocato il suo richiamo esagitato. La scena è la seguente: un corvo e un gabbiano si stanno contendendo un pesce di grosse dimensioni, il corvo più piccolo del suo rivale saltella intorno alla preda che per il momento è sotto l’artiglio del grosso gabbiano, ogni tanto prova a tirargli una beccata ma il gabbiano non ne vuol sapere di mollare il suo bottino. «Hai visto? E’ la legge del più forte». E mi abbraccia con la sua stritolata micidiale quasi a volermi trasmettere le sue emozioni. Che poi è quello che entrambi facciamo continuamente, con le parole, i gesti, gli sguardi…
Gli animali e la natura in generale sono la sua passione. E’ capace di trascorrere ore a guardare in TV documentari sugli animali di tutti i tipi e dimensioni, dai rinoceronti agli insetti più minuscoli. L’altro giorno mi ha mandato la foto di una farfalla posata sul palmo della sua mano. Come abbia fatto a fotografarla è un mistero, lui così impacciato nell’uso di qualunque aggeggio elettronico. «L’ho trovata mezza morta di freddo sulla ringhiera del balcone, l’ho messa a riscaldare sulla mia mano, poi si è ripresa, ho visto che muoveva le alucce e l’ho lasciata andare». Non uccide mai nessun genere di bestioline, che siano fastidiose zanzare o schifosi scarafaggi, li cattura delicatamente e li libera nel loro ambiente naturale. Mi ha raccontato che una volta ha fatto la stessa cosa con un topolino che si era nascosto sotto un mobile di casa. Al confronto mi ritengo un’assassina, considerata la gioia vendicativa che provo nell’uccidere formiche, ragni e quant’altro si permette di annidarsi nella mia casa. Ma quando osservo la sua sensibilità nei riguardi degli esseri viventi provo una commozione enorme. Padre Eterno che ci hai fatto incontrare, ti ringrazio immensamente, perché quest’uomo nonostante l’età ha conservato uno spirito bambino che me lo fa adorare.
E’ sera e fa freddo. Siamo a letto, io a guardare l’ennesima fiction televisiva, lui con gli auricolari collegati al tablet dove ha finalmente trovato la partita di calcio desiderata. La sua mano destra agganciata alla mia sinistra, i miei piedi gelati abbarbicati ai suoi stranamente sempre caldi d’inverno e freschi d’estate, sento il suo calore trasmettersi a tutto il mio corpo. Ogni tanto distoglie lo sguardo dalla partita per rimboccarmi le coperte, proprio come si fa con i bambini. E’ uno strano rapporto il nostro, fatto di mille sfaccettature e di ruoli diversi: a volte, come succede adesso, lo sento come un padre premuroso; altre volte lo tratto come un figlio bisognoso di cure e attenzioni; in altri momenti è il mio amante. Ma soprattutto lo considero il mio miglior amico, quello a cui confido tutti i miei pensieri, le mie ansie e timori, quello da cui ricevo consigli e rassicurazioni. Non si può voler di più dalla vita, penso tra di me, mentre, dimenticando la fiction, mi accuccio tra le sue braccia ossute e lui mi abbraccia forte, incurante del pallone che intanto finisce in rete.