Maria Pia Cortellessa. Docente di lingua inglese nelle scuole superiori di Foggia e Rimini, dopo il pensionamento ha lavorato come guida turistica in Romagna. Al Concorso 50&Più nel 2019 ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria per la prosa e nel 2021 ha vinto la Farfalla d’oro e nel 2022 la Libellula d’oro per la prosa. Vive a Foggia.
Sono stato sempre in primo piano, fin dalla nascita. Sono il naso di Alessia Libera, una donna che mi ha sempre odiato o almeno mi ha odiato fino ai 17 anni quando, finalmente per Lei, mi ha costretto a ridimensionarmi.
In effetti ero davvero ingombrante. Oltre ad avere una gobba di tutto rispetto, la mia punta era rivolta verso il basso, cioè la bocca, ragion per cui quando Lei si trovava a camminare per strada, i ragazzi la ingiuriavano in ogni modo, alcuni le avevano appioppato un nomignolo che in dialetto suonava così: “nas a pisc’ nmocca” che tradotto significa “naso che fa la pipì in bocca”, davvero azzeccato devo ammettere. Questo era il massimo degli epiteti, ma tanti altri le venivano rivolti, tipo “Pinocchio”, “Befana” o, da parte dei più colti naturalmente, “Dante Alighieri” e “Cirano”.
Alessia ne soffriva in modo, secondo me, spropositato. Appena tornata a casa si chiudeva nel bagno e piangeva, piangeva tanto da provocarmi fuoriuscite di liquido in eccesso oltre ad un rossore così forte da rendermi ancora più evidente.
Io invece non mi sentivo affatto offeso dagli insulti dei ragazzi di strada, anzi, l’idea di attirare l’attenzione di tanta gente mi mandava su di giri, per non parlare del paragone con personaggi storici che mi faceva sentire importante. E che dire della capacità olfattiva che ho sempre avuto molto sviluppata? Anche Lei avrebbe dovuto esserne orgogliosa, visto che riusciva a sentire profumi che altri non avvertivano, o anche odori sgradevoli come quella volta che salvò il sugo della mamma che stava per bruciarsi.
Purtroppo, però Alessia non mi sopportava. La cosa peggiore era che, per non essere derisa, spesso preferiva restare a casa rifiutando l’invito ad uscire che le veniva da parte di sorelle o amiche. E così io ero spesso costretto ad una clausura forzata.
Per fortuna, arrivata l’estate, la musica cambiava. Si andava in vacanza in una località di mare all’epoca frequentata da persone di un certo livello, mica quei cafoni di città. E lì nessuno mi guardava, né faceva commenti sul mio aspetto, che pure era sempre lo stesso, intendiamoci. Credevo di essere invisibile e la cosa mi dava un po’ fastidio, abituato com’ero alle attenzioni di tanta gente.
Mi consolava il fatto che, essendo Lei sempre di buon umore, uscivamo spesso, mi faceva prendere aria con continue passeggiate in riva al mare e in pineta, dove giocavamo a tamburelli o a bocce. Insomma, tutta un’altra vita.
Ma tornati in città ricominciava il calvario dei pianti e della vita passata in isolamento.
Il peggio arrivò un giorno quando Alessia, contrariamente al solito, accettò l’invito a fare un giro in bicicletta con una delle sue poche amiche. Forse pensava che andando di corsa sulla bici i ragazzacci non avrebbero avuto il tempo né l’opportunità per rivolgerle insulti. Infatti, così fu. Peccato che prendendo male una curva la bici si ribaltò e la poverina finì lunga per terra sbattendo violentemente la faccia sull’asfalto. Io naturalmente fui la parte più colpita: un taglio profondo proprio sulla gobba mi provocò gran perdita di sangue. Quando tornammo a casa per farmi medicare, Alessia andò in bagno e si guardò allo specchio. Non l’avesse mai fatto. Finì nuovamente a terra, questa volta svenuta per l’impressione provata nel vedermi in tutta la mia bruttezza aggravata dal taglio e dal gonfiore provocato dalla caduta. Insomma, un vero disastro. Seguirono giorni tristissimi, i più neri della mia vita. Non si usciva più di casa neanche per andare a scuola.
Dopo questa esperienza cominciai a sentirmi spesso in colpa, però…quale crimine avevo commesso? Ero forse io responsabile del fatto che suo nonno paterno aveva lo stesso identico naso con la gobba e cadente? E uno dei suoi fratelli pure. Ma loro erano maschi, il problema quindi era il suo, per il fatto di essere femmina. Le donne, si sa, devono essere belle, o almeno guardabili, insomma non così orrende come Lei si vedeva e, in effetti, era. E qui i miei sensi di colpa prendevano il sopravvento.
Forse quei sensi di colpa erano venuti anche a suo padre che, quando Lei aveva neanche 17 anni, le annunciò all’improvviso di aver preso contatti con uno specialista in chirurgia plastica di Roma, uno che aveva raddrizzato il naso, e non solo quella parte del corpo, a tante celebrità nel mondo dello spettacolo. La nostra sorpresa fu enorme: Lei si sentì percorrere da una gioia così grande che cominciò di nuovo a piangere, questa volta per la contentezza, e non riusciva a frenarsi più. Io ero disorientato e molto preoccupato. Cosa mi avrebbero fatto? Avrei provato dolore? L’idea della sofferenza mi angosciava, avrei voluto che le cose non cambiassero, che me ne rimanessi lì come ero, brutto sì ma contento.
Il viaggio a Roma lo ricordo come un incubo, l’ansia cresceva in me di pari passo con il prevalere della sua gioia. Quando fummo sotto i ferri, ci dissero che l’anestesia sarebbe stata locale, quindi avrei sentito tutto! Il terrore che mi avvolgeva mi rendeva impossibile calmarmi. E così per due ore buone il martello del chirurgo mi levigò la gobba e, con qualche misteriosa manovra, il bisturi riuscì a sollevare la mia punta talmente in alto che il risultato fu spettacolare: un nasino alla francese!
Finita l’agonia dell’operazione, dopo qualche giorno tornammo a casa, Lei tutta in giuggiole e incredula della riuscita dell’operazione, io ancora un po’ ammaccato ma tutto sommato contento di sentirla, finalmente, felice.