Giuliana Corrado. Docente in pensione di lingua e letteratura francese. La sua passione è la musica classica e il suo strumento preferito è il pianoforte. I suo interessi sono la letteratura, la scrittura, la pittura e la fotografia. Partecipa al Concorso 50&Più da qualche anno. Vive a Napoli.
Lo guardo, appena entrata nella stanza, il mio pianoforte. Verticale, di mogano, con doppie colonnine alla base, ai lati della pedaliera. Nella parte alta frontale le colonnine, piene di fori dei tarli, furono sostituite con due elementi non torniti, piatti, decorosi. Si era nel dopoguerra, ’48-’49; le colonnine tornite, di mogano, venivano a costare troppo e allora i due elementi, sempre di mogano ma piatti, rifiniti con semplici capitelli, allineati alla parete della faccia alta del piano. Erano sobri eleganti e soprattutto senza buchi dei tarli.
Mio padre detestava tutti quei buchi nei mobili, tarlati, e ne avevamo tanti, di famiglia. “Siamo in compagnia di roditori, diceva, mangiano con noi e prolificano. Mamma”, diceva alla suocera, “più petrolio e cera mettete e più ingrassano!”.
Avrei voluto aprirlo il piano ma mi tratteneva ancora una volta il pensiero di scorgere il sorriso giallognolo, come di bruciaticcio di sigaretta, ocra sbiadito che mi avrebbero fatto i tasti di avorio, vecchi. “Pregiati”, avrebbe detto la mia madrina. “Non dare mai la tastiera all’accordatore, o al pulitore, ti potrebbe sostituire i tasti con materiale moderno. I tasti di avorio sono introvabili, valgono molto. Vedi a chi ti rivolgi! Operai di fiducia, ditte storiche, note a Napoli”. Amavo il nitore delle cose. Se ero ferma vicino ad un quadro, un mobile lo sfioravo con le dita per verificare lo strato di polvere, sulle cornici, gli intarsi. Lucidavo marmi, argenti; vetri e specchi accuratamente puliti. I bicchieri li guardavo contro luce . Per cancellare aloni e macchie di calcare passavo leggere carte assorbenti; nei casi più seri qualche goccia di aceto. E i tasti del piano? “Bicarbonato su una pezzuola umida, delicatamente”, diceva mia nonna. Si ma nel tempo non faceva più effetto.
Devo aprirlo, desidero suonare qualcosa. Mi ero ripromessa di ricominciare a studiare. “Magari qualche pezzo a quattro mani”, pensavo, “così avrò qualcuno che suona con me”. Avevo bisogno di avere una motivazione, assolutamente. Ero andata ad un concerto in una casa privata. Due pianisti suonavano Scarlatti a quattro mani. Ci ero andata proprio per convincermi che potevo farlo anch’io. “Sì ma con chi”, mi dicevo. Avrei potuto fare lezione con un maestro. Ma intanto erano passati molti mesi e non lo aprivo neanche il piano. Tasti di avorio. Quale elefante era stato abbattuto per fare dalle zanne i miei tasti. Rabbrividivo al pensiero di dover toccare quei pezzi di avorio. “Sono scuse ,basta!”, mi dico, “posso provare con qualche canzone. Non è difficile, la musica poi mi può vincere e suono, e , se mi applico, riprendo qualche pezzo classico”.
Quando il mese scorso venne la mia nipotina a trovarmi, con disinvoltura aprì il piano e si mise a suonare “per Elisa”. Ero nel salone accanto .Ebbi un sobbalzo. Non aveva notato quel giallastro vecchio e vissuto dei tasti? Non avevo fatto in tempo a fermarla. Avrei voluto risparmiarle quella sensazione sgradevole! Lei che a casa ha uno Stanway, mezza coda, i cui tasti sono bianchi, candidi. E’ un sorriso smagliante quello del suo piano. Ma non se ne era accorta di quella vecchiaia sgradevole del mio pianoforte. Sentii che aveva richiuso e diceva ridendo “Me lo ricordo poco!”.
Ci sto pensando da troppo tempo di voler aprire il mio pianoforte. Debbo decidermi. E’ lì, a destra, entrando. E’ lucido serio. Apro di scatto decisa. Leggo, prendo tempo: W. Hilse, Nchflg. Berlin, c’è in lettere oro all’interno del coperchio, e anche due timbri tondi, con figure armoniose e scritte lungo la circonferenza. Non le decifro, troppo piccola la grafia. I tasti sono coperti da un panno verde, ricamato con un tralcio di margherite bianche. M. Celentano Napoli è ugualmente ricamato. E’ sereno quel ricamo. I fiori sono uniti tra di loro da un nastro volteggiante, sempre ricamato, di un verde più chiaro. E’ allegro quel copri tastiera, rassicurante. Però, non ho ancora scoperto la tastiera. Non ho superato il mio smarrimento. Debbo ancora togliere il panno, per vederla quella sgradevole sequela di tasti gialli, marrone bruciato; vecchi sofferti tasti, ricavati dalle zanne di un povero elefante cui si è tolta la vita per arricchire il mio piano. Via! Il panno verde con le margheritine lo tiro via, scivola a terra… ma i tasti? Li guardo angosciata…Sono bianchi! Solo alcuni leggermente ambrati. Mi sorride il mio piano?! E’ invitante ? Non so. E’ lì, mi aspetta. Studia le mie mosse? E’ quieto. Non sento barriti. Con mano tremante raccolgo da terra il copri tastiera, verde scuro , di panno lenci. E’ morbido. Lo appoggio con cura a coprire i tasti. Con calma richiudo il coperchio.