Vi avevo chiesto di scrivere e l’avete fatto. Grazie. Ho scelto, fra le molte lettere, quelle di due persone che, entrambe sposate, sono uscite dal lungo periodo di reclusione con il coniuge con due esiti diametralmente opposti.
La prima è una donna di 66 anni, che mi scrive: «Ho affrontato, come tutti gli italiani, l’isolamento domestico con il divieto di uscire di casa. Sono sposata da quasi quarant’anni, ho una figlia di 38 anni e un figlio di 36. Ho due nipotini, tutti e due figli della figlia, di due e cinque anni… li adoro, come tutte le nonne… Avrei voluto stare a casa di mia figlia, che ha continuato tutto il tempo a lavorare in modalità smart working, mi sarei occupata con gioia dei bambini, ma io vivo in un paesino non lontano da Roma e mia figlia a Milano e non ho potuto spostarmi. Sono rimasta, malvolentieri, a casa mia, con mio marito».
Segue la descrizione di un matrimonio svuotato di senso, fra due persone che da tempo non hanno più niente da dirsi. Le cene guardando la televisione, il fastidio per una presenza muta, per una casa troppo piccola. Prima c’era per lui il bar, per lei il gruppo di lettura, le amiche e lunghe soste a Milano dai nipotini. Ci si frequentava il minimo e si riusciva a non dire quello che non andava detto. La fine della possibilità, per entrambi, di uscire, li ha spinti uno contro l’altra, sono incominciati i battibecchi, le critiche continue: “hai macchiato la tovaglia”, “non è così che si mettono i piatti nel lavastoviglie”, sciocchezze, ma tormentose. E una sera, dopo 22 giorni, lei è sbottata: sei aggressivo, sciatto, non fai niente in casa, non ti vedo mai con un libro in mano, non dici una parola. Lui le ha risposto per le rime.
Allora lei, alzando la voce ha detto la frase: “Non ti amo più”. Lui, inaspettatamente, si è messo a piangere. «Proprio con le lacrime», specifica la lettera. Ed è successo il miracolo. Si sono abbracciati. (al diavolo il virus, meglio morire tutti e due che uno per volta). Non succedeva da dieci anni. Lei si è commossa nello scoprirlo vulnerabile, lui si è sentito accolto da quell’abbraccio. E per tutte le settimane seguenti, tutti e due si sono sforzati di parlare. Il dialogo è come un muscolo, se lo alleni si rinforza, se non lo stimoli si atrofizza.
La lettrice e suo marito hanno scoperto che avevano ancora molto da dirsi. È ovvio che dopo 40 anni di matrimonio gli aneddoti sulla tua infanzia lui li sa a memoria e viceversa, ma la vita cambia attorno a te e la vita che cambia (in questo periodo poi!) puoi commentarla sempre, fino all’ultimo respiro.
Meno a lieto fine l’altra lettera. Mi scrive una donna di 59 anni, una donna bella (ci tiene a specificare che dimostra molto meno della sua età), felicemente sposata con un uomo di pochi anni più vecchio di lei.
Lei è proprietaria di un negozio di abiti usati che, nella piccola città dove vive e che mi prega di non nominare, è un punto di riferimento per tre generazioni di donne. «Ci vengono le madri, le figlie e le nonne», scrive. Scrive che suo marito lavora nel turismo, settore che sarà fra gli ultimi a normalizzarsi. Ha sempre viaggiato molto, ovviamente, il marito. Ma ogni ritorno era una festa. Piccoli regali, cene nei ristoranti migliori e la promessa di viaggiare un po’ meno, prima o poi. Scrive che è stata quasi felice, pur nel rispetto del dolore di chi ha perso i suoi cari, quando ci hanno chiusi tutti in casa. L’idea di godersi finalmente suo marito le faceva volare la fantasia d’amore. Fra loro le cose andavano benissimo, sarebbero andate ancora meglio, senza tutti quegli strappi, le continue partenze che nutrivano l’amore con potenti iniezioni di nostalgia. “Le cose” hanno incominciato a scricchiolare dopo una settimana. Lui, costretto a viaggiare al massimo fino al supermercato, era come un leone in gabbia. Lei continuava a “cambiarsi per la cena” per tener viva la tradizione del corteggiamento. Lui neanche se ne accorgeva, se si era vestita sexy, voleva soltanto ripartire. Una sera litigarono su una sciocchezza e lei, offesa, andò a dormire. Credendola addormentata, lui andò a telefonare sul balcone della cucina, quello da cui avevano cantato l’Inno di Mameli, nei primi fantastici giorni della quarantena. Peccato che lei non riusciva a dormire, e andò a prendersi un bicchiere d’acqua in cucina, senza accendere la luce. A chi stava dicendo, lui: “muoio dalla voglia di vederti…”, “lo capisci che ho bisogno di te…”, “se questa pandemia non finisce divento pazzo…”.
La Fase due, per la ex coppia felice, è incominciata con un appuntamento dall’avvocato. Per avviare le pratiche di divorzio. Alla lettrice ho risposto: «Guarda, forse è meglio così, meglio un taglio netto che un agonia di bugie». Ma l’ho fatto perché mi corre l’obbligo di pensare positivo.
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