È l’uomo a invadere lo spazio degli animali selvatici o il contrario? Il caso dell’orsa JJ4 riporta il tema al centro del dibattito politico e scientifico. Ne parliamo con Luigi Boitani, docente di Zoologia presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università Sapienza di Roma
Sempre più spesso l’uomo si trova a condividere gli stessi territori con la fauna selvatica. Tanti sono gli animali che vivono, ormai, all’interno delle aree urbane (cinghiali, scoiattoli, volpi). Le ragioni sono legate a diversi fattori: dalla disponibilità di rifugi alla luminosità notturna, alla mancanza di predatori ma soprattutto alla facile reperibilità di cibo. Alcuni centri abitati si trovano immersi in aree boschive che, come nel caso dell’orso bruno in Trentino, sono state sottoposte a un ripopolamento dopo che la specie aveva toccato numeri minimi. A questo scopo, nel 1996 è stato ideato il progetto dal titolo “Life Ursus”, promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta e dalla Provincia Autonoma di Trento, insieme all’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Il programma ha portato all’introduzione sul Brenta di 9 orsi, tre maschi e sei femmine, di età compresa fra 3 e 6 anni, scelti per ricreare nell’arco di quarant’anni una popolazione di 40-50 orsi, in un’area di circa 1.700 km quadrati. Da quanto emerso nei sondaggi realizzati all’epoca fra 1.500 abitanti della zona, oltre il 70% degli intervistati aveva dichiarato di essere a favore del rilascio degli orsi nell’area, con l’assicurazione di adottare misure di prevenzione dei danni e di gestione delle situazioni di emergenza. Il tema della convivenza con specie selvatiche è tornato a suscitare un forte dibattito dopo la tragica morte di Andrea Papi, il giovane runner di Caldes morto all’età di 26 anni in Val di Sole, ucciso dall’attacco dell’orsa JJ4 lo scorso 5 aprile.
Possono convivere uomo e fauna selvatica? Ne abbiamo parlato con Luigi Boitani, professore ordinario di Zoologia presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università Sapienza di Roma e presidente della “Large Carnivore Initiative for Europe”. «Prima di tutto non dobbiamo generalizzare perché anche nelle specie non umane ci sono le personalità, gli animali sono diversi l’uno dall’altro, specialmente i grandi carnivori che hanno individualità ben distinte. Casi come questo sono eventi rarissimi che dipendono da tanti fattori, compresa l’imponderabilità di un incidente», ha spiegato.
Cosa ha messo in luce questa vicenda?
L’incapacità da parte del pubblico ma anche degli attori principali di distinguere gli aspetti tecnico-scientifici da quelli politici. Nel caso dell’orso era stato fatto un patto tra le varie autorità che avevano deciso questa reintroduzione, ed erano state previste una serie di specifiche, fra le quali la rimozione dell’individuo dalla natura se si fosse verificato un comportamento pericoloso. Rimuovere, in questo caso un orso, significa toglierlo dall’ambiente naturale: che lo si faccia con l’abbattimento immediato o con la cattura e la prigionia a vita è poi una scelta etica. C’è da dire che gran parte delle posizioni animaliste leggono il comportamento e le necessità degli animali con gli occhi dell’uomo, ma non hanno idea di cosa sia il vero benessere degli animali. La gente non sa che per esempio anche l’istrice è una specie protetta, eppure in alcuni casi viene abbattuto se provoca danni agli argini dei fiumi. Un altro caso interessante è quello dei mufloni dell’Isola del Giglio, per i quali sono state fatte molte campagne contro l’abbattimento, mentre nel resto della Toscana ogni anno si abbattono legalmente circa 400 capi e nessuno dice nulla.
I Paesi Ue hanno indirizzi comuni in fatto di fauna selvatica?
Se prendiamo come esempio l’orso, parliamo di una specie protetta in tutti i Paesi Ue, con possibilità di deroghe, come previsto dall’articolo 16 della Direttiva Habitat (92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e fauna selvatiche, approvata il 21 maggio 1992 dalla Commissione Europea, ndr). La valutazione rispetto a tali deroghe è su scala locale, per cui ci si può trovare di fronte a situazioni molto diverse da un Paese all’altro. L’orso JJ1, fratello di JJ4, arrivò in Germania dove fu accolto con meraviglia perché erano circa 300 anni che non se ne vedeva uno, ma poi fu abbattuto perché aveva ammazzato del bestiame. Un altro dei fratelli di JJ4 andò in Svizzera dove fu eliminato perché si avvicinava ai centri abitati e fu ritenuto un pericolo.
Come definirebbe il concetto di convivenza fra uomo e specie selvatiche?
Convivenza significa compromesso: dobbiamo ammettere la possibilità di qualche danno, se tollerabile, ma quando un esemplare manifesta comportamenti pericolosi e diventa potenzialmente rischioso deve essere tolto dalla natura. Eliminare uno o tre o cinque orsi dalla popolazione del Trentino non crea un danno dal punto di vista biologico, se consideriamo invece il punto di vista etico si tratta di una scelta. Nel caso del lupo, qualche individuo che si avvicina troppo al bestiame e crea dei danni viene bracconato di fatto in maniera tollerata. Ciononostante, in Italia si è passati dai circa 100 esemplari degli anni Settanta ai 4mila di oggi.
La convivenza con l’uomo sta anche cambiando alcuni comportamenti degli animali selvatici: uno studio del Muse, il Museo delle Scienze di Trento e del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, pubblicato sulla rivista Ambio, ha dimostrato che alcune specie sono diventate notturne in reazione al disturbo provocato dal passaggio delle persone. I ricercatori hanno utilizzato 60 fototrappole in un’area delle Dolomiti e in sette anni di ricerca hanno raccolto oltre 500mila foto: il 70% di queste ritrae persone.
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