Circa tre miliardi di persone vivono in zone aride del pianeta, soggette a progressiva desertificazione, pari al 46,2% delle terre emerse. Secondo l’Atlante globale della desertificazione, pubblicato dal Centro di ricerca della Commissione europea, oltre il 75% del suolo ha già subito una compromissione. E questa percentuale potrebbe crescere fino al 90% entro il 2050.
La Giornata mondiale contro la desertificazione e la siccità
Ogni anno inaridiscono mediamente 4,18 milioni di chilometri quadrati, una superficie pari a circa la metà di quella dell’intera Unione Europea. Ciò avviene soprattutto in Asia e Africa e si stima che nei prossimi trent’anni almeno 700 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare a causa della siccità e improduttività del suolo.
Per sensibilizzare i governi, le organizzazioni e i cittadini sulle responsabilità collettive del benessere – o malessere – della terra, il 17 giugno di ogni anno si celebra la Giornata mondiale contro la desertificazione e la siccità. Una ricorrenza voluta dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1995, con la Risoluzione 49/115. Lo stesso giorno di un anno prima, a Parigi, si invece adottava la Convenzione per la lotta alla desertificazione, ratificata da 200 paesi, con l’obiettivo di intervenire sugli effetti della siccità mediante attività di cooperazione internazionale e accordi con i paesi più direttamente colpiti.
L’Italia e la desertificazione
L’Italia ha sottoscritto il documento nel 1997, in veste di paese donatore e di paese colpito dalla desertificazione. Nel 1997 è stato anche istituito dal Ministero dell’Ambiente un Comitato Nazionale di lotta alla siccità, per coordinare l’attuazione della Convenzione in Italia.
Negli ultimi anni, anche nel nostro paese è cresciuto l’allarme sul rischio desertificazione con molti studi riguardo il fenomeno. Già nel 2015, il CNR aveva stimato che il 4,3% del territorio italiano è da considerarsi sterile e un ulteriore 4,7% ha subito fenomeni di impoverimento. Il rischio però riguarda ben il 21% del territorio nazionale, con picco del 71% in Sicilia e del 41% nel Mezzogiorno. Lo scorso anno, il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente ha classificato un 10% di suolo come molto vulnerabile e un altro 49% come mediamente vulnerabile.
La Cop15 e gli scenari possibili
Delle soluzioni globali per arrestare il fenomeno si è recentemente discusso alla Cop 15 di Abidjan, in Costa d’Avorio. Un incontro dove le delegazioni di 197 paesi firmatari della Convenzione sono partite dall’esame del secondo Global Land Outlook pubblicato dall’Onu, aggiornato dopo cinque anni di lavoro.
Le ipotesi prospettate da qui al 2050 sono state tre. La prima nel caso si prosegua senza fare nulla; la seconda se si dovesse ripristinare una porzione di 5 miliardi di ettari di superficie; l’ultima se si aggiungesse oltre al ripristino anche la protezione di aree importanti.
Il primo scenario è stato definito “non praticabile” per la sopravvivenza. Un ulteriore degrado di suolo, infatti, per una superficie di 16 milioni di km quadrati, pari alla superficie del Sud America, determinerebbe un calo della produttività agricola mondiale fra il 12% e il 14% e un’emissione di ulteriori 69 giga-tonnellate di carbonio.
Le misure proposte nel secondo scenario considerano l’agro-forestazione, la gestione del pascolo e la rigenerazione assistita. Porterebbero così un aumento fra il 5% e il 10% dei raccolti, una capacità di ritenzione idrica del suolo superiore del 4% e una riduzione dell’11% della perdita di biodiversità.
Nel caso in cui questi interventi si accompagnassero anche alle misure di protezione della biodiversità, si potrebbero aggiungere altri 4 milioni di km quadrati (pari alla superficie di India e Pakistan) e si eviterebbero emissioni per ulteriori 83 giga-tonnellate di carbonio (una quantità pari a quella prodotta in sette anni).
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