È impossibile restarle indifferenti. Sicuramente lei non lo è nei confronti dell’arte e della vita.
Stiamo parlando di Yayoi Kusama, celebre artista giapponese, tra i personaggi più illustri dell’arte contemporanea. A 91 ha deciso che il Covid andasse preso di petto, alla stregua di un nemico da abbattere.
Gli ha perciò dedicato una poesia che sa più di invettiva: “Sparisci da questa terra/ Combatteremo questo terribile mostro/ È il momento di alzarsi e combattere./ Profonda è la mia gratitudine verso coloro che stanno combattendo”.
Versi vs Virus, la poesia di Yayoi Kusama contro il Covid
Parole d’ira, dunque, ma anche di speranza: quelle di una donna ritenuta a livello internazionale una “Rivoluzionaria del mondo dell’arte” per le sue installazioni tridimensionali, le performance di body painting e dipinti astratti che fanno di lei un personaggio camaleontico. Molto amato anche nel nostro Paese.
Un’arte a pois, il “suo” segno
In tanti sicuramente l’associano ai pois coi quali ha adornato salotti e strade di New York dal 1958 al 1973, nello stesso periodo in cui avveniva la transizione tra l’espressionismo astratto e lo sperimentalismo di avanguardia. Di certo, è un’artista che – nella sua lunga carriera artistica – ha saputo dare spazio ai moti dell’animo, sensibile com’è alle turbolenze dello spirito e della psiche.
La sua storia tra arte, disturbi e ricoveri
La sua incredibile storia è infatti ormai nota a molti, ma vale la pena ricordarla. Nata nel 1929 a Matsumoto da una famiglia dell’alta borghesia, Yayoi Kusama sviluppa presto disturbi comportamentali legati ad allucinazioni visive e uditive. Un mondo interiore che riversa nel disegno e che contiene usando appunto foglio e matita.
L’arte capisce presto che per lei sarebbe stata di casa, se non fosse per l’ostilità dei genitori che non l’avrebbero mai riconosciuta in quel ruolo. Ecco perché, sin da giovanissima, guarda agli Stati Uniti come meta. Un approdo che non tarda ad arrivare, complice un’artista del calibro di Giorgia O’Keeffe che la invita a esporre proiettandola dritta nell’avanguardia newyorkese.
Ma i suoi problemi di salute persistono e, nel 1975, dopo aver già esposto nei più prestigiosi musei al mondo, torna in Giappone per ricoverarsi in un ospedale psichiatrico di Shinjuku e dal ‘77 è paziente del Seiwa Hospital a Tokyo. Un ricovero che, però, non le impedisce di continuare a creare. Affitta infatti un atelier di fronte all’ospedale e, ogni giorno, va e dipinge. Opere che hanno segnato la storia iconografica anche di grandi marchi come Lancôme e Louis Vuitton.
Le opere più celebri
Tra le sue iniziative più celebri, quella del 1966 alla Biennale di Venezia quando invade i canali della città gettando in acqua 1.500 sfere galleggianti, parte dell’opera Giardino dei Narcisi. Arcinota, l’Infinity Mirror Room: un grosso ambiente che, grazie alla presenza di pareti a specchio, frammenta l’immagine dei corpi che vi passano riproducendolo un numero infinito di volte. Un gioco che ricorda l’installazione Gleaming lights of the Souls in cui, sempre grazie agli specchi, si entra in una sorta di scatola ottica attraversata da luci intermittenti.
L’arte come forma di salvezza
Un viaggio, dunque, la sua vita tra arte e ossessione: elementi che, per altro, si fondono naturalmente nella sua opera. Una creatività che, a 91 anni, è tutt’altro che esaurita e che, anzi, proprio di fronte alla pandemia, l’ha riportata a esporsi al pubblico: “Abbracciati nell’amore profondo e negli sforzi delle persone di tutto il mondo – ha scritto – Ora è il momento di alzarsi in piedi / È giunto il momento di combattere e superare la nostra infelicità”.
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