Il dolore cronico compromette le attività quotidiane, anche quelle lavorative. Un possibile rimedio? Volontariato e beneficenza.
Il dolore, specie se cronico, appesantisce l’esistenza, influenzando non solo l’organismo ma anche la psiche e l’umore. Uno studio della City University di Londra e dell’Università di Harvard su 35mila persone fra i 40 e i 50 anni dimostra che fare volontariato in una qualsiasi associazione o offrire denaro in beneficienza riduce la percezione del dolore fisico.
Un effetto analgesico così potente da consentire di continuare a vivere e a lavorare normalmente. Di più: maggiore è il denaro donato, maggiore è l’effetto antidolorifico. Mentre non si è riscontrato un effetto dose-dipendente per il numero di ore di volontariato svolto presso un’associazione.
Il ruolo chiave delle good vibes
Gli autori sostengono che le emozioni positive collegate all’impegno in comportamenti prosociali spiegano i risultati ottenuti. Il volontariato infatti è fortemente associato alla connessione sociale, che a sua volta è un predittore chiave del benessere, anche in relazione al dolore fisico. Insomma aiutare il prossimo produce sensazioni positive con vantaggi su psiche e corpo che si traducono in una forte riduzione del dolore.
Un problema diffuso
Il dolore fisico è uno dei motivi principali di accesso al pronto soccorso nel Regno Unito. Circa nove milioni di persone britannici convivono con dolore cronico e il dolore muscoloscheletrico da solo rappresenta il 30% delle visite mediche del Paese. Una condizione generalizzata e molto spesso legata all’età, come testimonia anche una ricerca condotta da ricercatori tedeschi su un target di popolazione tra 40 e 85 anni. Lo studio ha inoltre scoperto che la prevalenza e l’intensità del dolore tra i tedeschi anziani e di mezza età sono in aumento.
Gli italiani e il dolore
In Italia, oltre 10 milioni di adulti soffrono di dolore cronico. La stima, la prima validata a livello nazionale, è contenuta nel Rapporto Istisan pubblicato dall’ISS. Dai dati emerge che il dolore cronico, che affligge dieci milioni di persone (4 milioni di uomini e 6 milioni e mezzo di donne), cresce con l’età. È infatti presente nell’8% dei 18-44enni, con un aumento al 21,3% tra i 45-54enni, al 35% tra i cosiddetti “giovani anziani” (65-74enni), fino a raggiungere il 50% negli over 85.
Sesso e residenza, due discriminanti
Il dolore cronico conferma le diseguaglianze di genere. Il divario nelle stime di prevalenza tra maschi e femmine inizia infatti già all’età di 35 anni, e si amplia mano a mano a sfavore delle persone di sesso femminile, con percentuali superiori di oltre 15 punti tra gli anziani (65 anni e più). Nel complesso, dunque, il 60% delle persone adulte con dolore cronico in Italia è di sesso femminile. Incide anche la regione di appartenenza, con uno svantaggio più evidente nel Mezzogiorno, in particolare per i cittadini di 65 anni e oltre.
L’importanza degli studi sul dolore
Ricerche come quella co-condotta dall’Università di Londra e di Harvard, che studiano il dolore da una prospettiva socioeconomica, psicosociale e comportamentale, sono fondamentali. Le indagini infatti forniscono informazioni utili per la progettazione e la valutazione delle politiche di sanità pubblica. Sono a tutti gli effetti una base per le politiche, incaricate di individuare gli strumenti adatti a favorire i comportamenti prosociali, che generando forti emozioni positive riducano l’umore negativo e lo stress, influenzando positivamente il proprio dolore.
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