Rosa Conte. Laureata in Scienze Naturali ed in Scienze Biologiche ho insegnato presso le scuole Medie e Superiori. Da 14 anni è la Coordinatrice di 50&Più Università della sede di Lucca. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta; nel 2020 ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa e la Superfarfalla. Vive a Lucca.
“Prego, signora”. L’inappuntabile cameriere posa sul tavolino il mio succo di frutta, lo ringrazio con un sorriso.
Mi piace tanto questo hotel di Abano, dove spesso veniamo a rilassarci. Adoro questa aria antica, nobile ed elegante. Arredi, quadri, preziose porcellane, lampadari di Murano fanno rivivere la scintillante atmosfera della Belle Epoque. Qui il generale Diaz ha firmato il Bollettino della Vittoria che nel 1918 chiude la Grande Guerra. Al Grand Hotel Trieste & Victoria mi sento coccolata e viziata, sentieri profumati di fiori invitano a rilassanti passeggiate all’ombra di alberi esotici e le acque calde delle piscine termali mi avvolgono e mi accarezzano in un abbraccio morbido e rassicurante.
Purtroppo tu non vuoi più viaggiare, dici che siamo troppo “vecchi”. Ovviamente hai torto marcio ed entrambi sappiamo bene che si tratta di un alibi per mascherare la tua riluttanza al solo pensiero di prendere un aereo, o un treno o un’auto per scoprire bellezze che non conosciamo.
Eppure sei ancora molto energico e sportivo, per non parlare di quanto alacremente svolgi ancora la tua attività. Non ho mai conosciuto nessuno che ami il suo lavoro con tale passione e dedizione, ancora oggi continui ad aggiornarti per poter offrire ai pazienti il massimo della professionalità.
Sfogli distrattamente un giornale ed io inizio a dipanare il filo dei ricordi.
Avevo quasi 29 anni. Mia madre era un po’ preoccupata perché mi vedeva già avviata sulla strada dello “zitellaggio” ed io non facevo niente per non farglielo credere. Non avevo avuto fidanzati fino ad allora, tanti aspiranti candidati, questo sì, ma niente di più.
Era martedì grasso e fui invitata ad una festa privata. Ancora oggi io detesto sia il Carnevale che le maschere, per cui mi limitai ad indossare una camicetta bianca con una lunga gonna colorata ed un paio di orecchini vistosi e portavo sciolti i miei lunghi capelli scuri. L’appartamento si trovava in un palazzo storico nel centro della città, risalente al 1300 e impreziosito da trifore e quadrifore. Saloni, caminetti antichi, tappeti ed arredi eleganti mi intimidirono un po’. A festa inoltrata il padrone di casa mi invitò a ballare. Nonostante insegnassi da sei anni ed avessi appreso l’arte di domare torme di esuberanti ragazzini dagli 11 ai 14 anni, non avevo perso la mia naturale riservatezza. Fui pertanto titubante, ma accettai per educazione anche perché, oltre al Carnevale e alle maschere, detesto anche il ballo del mattone.
Per sciogliere il ghiaccio lui fece un apprezzamento sul mio orologio e mi chiese se era un Baume&Mercier. Che imperdonabile sbadata! Un prezioso orologio d’oro, regalo dei miei genitori, al polso di una già improbabile zingara!
Guardai meglio l’autore del complimento e… mi persi nei suoi occhi “color di foglia”. Parlammo del più e del meno, ma il mio cuore già perdeva qualche battito. Sei una sciocca, mi dicevo, lui balla con te come ha ballato con le altre ragazze, per dovere di ospitalità. Figurati se ti considera, adesso vedrò spuntare da qualche parte una moglie oppure una statuaria fidanzata che si avvicinerà a noi con sorrisetto sardonico e…
“Mi dai il tuo numero di telefono?” mi chiese. Sei mesi dopo eravamo sposati.
Fu un viaggio di nozze da sogno. Cinque giorni nel più esclusivo hotel di Portofino e poi via, verso il Paradiso Terrestre. Sabbia di borotalco, l’aria odorosa, un mare dai colori incredibili e la barriera corallina delle Isole Seychelles mi fecero capire che quello era il posto dove avrei voluto vivere per sempre. Fino ad allora non mi ero mai avventurata nel mare profondo, ma lì non potei rinunciare allo snorkeling in acque calde e cristalline ed incontrare i pesci multicolori come in uno straordinario acquario. La prima notte camminammo a lungo sulla spiaggia, percorsa continuamente da granchi mostruosamente grandi e rumorosi, ma ciò che mi incantò fu lo spettacolo mozzafiato del cielo, che sembrava non poter contenere le stelle.
Non avevo mai visto un cielo così traboccante di luci palpitanti, il solo pensiero ancora oggi mi emoziona.
Il nostro matrimonio fu un salto nel buio per entrambi, due sconosciuti che hanno unito le loro vite ed intrapreso un cammino insieme. Allora ti piaceva viaggiare; abbiamo visitato quasi tutte le capitali europee e siamo ritornati in Africa, negli Stati Uniti ed in Brasile ed ovviamente abbiamo percorso in lungo e in largo il nostro meraviglioso Paese.
Ti ricordi quanto abbiamo riso quando il tuo collega ti disse: “Ma che fai, porti tua moglie a Rio de Janeiro? E’ come andare in un ristorante stellato e portarsi dietro il panino!” Mi ha assai divertito essere paragonata ad un sandwich!!!
Certamente non sono mancati, come in ogni coppia, i momenti di contrasto. Non è stato facile starti accanto e cercare di smussare gli angoli acuti di un carattere a volte spigoloso e spesso ho dovuto attingere al Pozzo di San Patrizio della mia pazienza. Sei testardo, distratto ed impaziente, talora maschilista e molto diretto e non sai cosa significa la parola diplomazia.
Ho imparato a conoscere i tuoi occhi quando, grigie lame d’argento, emettono bagliori scintillanti oppure quando, placidi laghetti alpini pieni di tenerezza, cangiano con la luce catturando le sfumature del cielo o degli alberi.
Ho imparato ad ammirare la professionalità, l’umanità e competenza nel tuo lavoro, la tua passione infinita che ti faceva dimenticare gli orari, magnifica ed inebriante droga che ancora oggi, dopo 52 anni, non ti abbandona. Turni massacranti quando lavoravi all’Ospedale, anche di 36 ore, non ti hanno mai fatto perdere quel desiderio stupendo e meraviglioso di aiutare gli altri a combattere la battaglia contro la malattia. Non sentivi stanchezza ed hai sempre affrontato i problemi, anche nell’ambiente di lavoro, con estremo coraggio e franchezza, senza mai scendere a compromessi o cercare facili guadagni. Scrupoloso e preparato, hai sempre perseguito il bene dei malati seguendo il tuo istinto e senso clinico, a volte disattendendo le linee guida e rischiando in prima persona, forte anche dell’enorme esperienza accumulata in tanti anni di trincea.
Ricordi quella fredda mattina invernale quando il suono del telefono ci svegliò bruscamente? Laura, nostra amica, ti chiedeva di recarti da loro perché il marito, di soli 35 anni, non si sentiva bene. Mentre scorreva l’elettrocardiogramma improvvisamente il pennino impazzì e riconoscesti con grande preoccupazione i terribili segni della fibrillazione ventricolare. Afferrasti Marco, che aveva perso conoscenza, e senza tanti complimenti lo depositasti sul pavimento iniziando immediatamente le manovre rianimatorie. Passarono 20 lunghissimi minuti prima che l’ambulanza arrivasse. In seguito mi dicesti che stavi per smettere, avendo la netta impressione di massaggiare un cadavere, ma la vista del ventre turgido di Laura ti dette la forza di continuare. Non potevi tollerare che quel bambino dovesse nascere già orfano di padre. Le manovre continuarono anche a bordo dell’ambulanza e poi al pronto soccorso, finalmente con l’aiuto del defibrillatore. Eri assistito dal collega cardiologo di turno e dall’anestesista, i quali, vista la mancata ripresa del paziente, ti chiesero di constatarne il decesso. Tu non li hai ascoltati ed hai continuato fino a quando Marco non iniziò a respirare autonomamente. A distanza di pochi giorni Laura dette alla luce la sua bambina ed un mese dopo nacque anche il nostro cucciolo. Era il 1982, l’anno dei favolosi mondiali di calcio e con i nostri amici e i due piccoli in culla trepidavamo davanti alla tv a tifare Italia. Ricordo che avevamo un rituale scaramantico, ad ogni partita della nostra Nazionale dovevamo tutti mantenere la stessa postazione davanti allo schermo. Direi che ha funzionato!
E la nostra amica Grazia? Ti riferì con noncuranza di un “dolorino” al torace. La tua immediata diagnosi di aneurisma dissecante dell’aorta, che le lasciava poche ore di vita, fece sì che in tempi record fosse sottoposta ad un lungo e delicato intervento da parte del più abile cardiochirurgo, che fortunatamente operava a Firenze. Oggi, a distanza di 25 anni, Grazia può godersi con gioia i tre vispi nipotini.
Ed ancora altri pazienti da te estratti dalle tenebre dell’arresto cardiaco, uno perfino in palestra, mentre ti allenavi. Salvati dalle tue mani esperte, dalla tua caparbietà nel volerli strappare alla morte.
Per te, mio eroe silenzioso, nessun clamore ma il riconoscimento più importante, l’affettuosa gratitudine dei tanti a cui hai regalato una seconda vita.
Il filo dei miei pensieri continua a svolgersi, ma ora diventano dolorosi. Sollevi lo sguardo dal giornale e forse noti che i miei occhi sono appannati da un velo di tristezza perché mi chiedi: “A cosa stai pensando?”.
No, non te lo dirò che sto rivivendo il dolore per la perdita dei miei genitori e del mio unico fratello, quando ti bagnavo la camicia di lacrime e tu mi stringevi forte tra le braccia mormorandomi tenere parole di conforto. Non ti dirò di quante volte ti importunavo con mille problemi di salute o di quando andavo in ansia per una linea di febbre di nostro figlio e tu riuscivi sempre a rassicurarmi. Non ti racconterò dell’angoscia provata quando, colpita da un grave ipertiroidismo gravidico, mi dicesti che sarebbe stato opportuno non avere altri figli. Anche in quella occasione hai saputo curarmi con perizia ed affetto.
La luce calda e morbida del tramonto estivo fa brillare le pagliuzze dorate nei tuoi occhi, gli stessi che tanti anni fa mi hanno stregato. Allontano i pensieri tristi e sorrido mentre ti rispondo. “Pensavo che è quasi ora di cena. Vogliamo andare?”