Rosa Conte.
Laureata in Scienze Naturali e in Scienze Biologiche con il massimo dei voti e lode, si è dedicata all’insegnamento di materie scientifiche presso le scuole medie e superiori. Ha studiato pianoforte presso l’Istituto Musicale “Luigi Boccherini” di Lucca. Dal 1997 si occupa di didattica presso le Università della Terza Età e da 13 anni è coordinatrice della sede lucchese di 50&Più Università. Partecipa al Concorso per la prima volta. Vive a Lucca.
Giudizio della Giuria
l ricordi e gli aneddoti di una madre appena scomparsa Affiorano nella memoria della figlia come quel segreto che spesso non si sa dire per difetto di parole, per una imperfezione emotiva, per insufficienza spirituale, e che poi esplode dentro, difeso come il bene più prezioso, la cosa che non può morire. Qualcosa di diverso e forse più profondo anche dell’amore.
L’opera è interpretata e adattata da Fiorella Magrin
Le tue mani tra le mie sono incredibilmente lisce e morbide, così come il tuo viso tra i cuscini. So che ti sto perdendo e, mentre ti guardo, affiorano tanti ricordi e tanti aneddoti che mi hai raccontato nel corso della tua lunghissima vita.
Sei nata nel 1915, nel cuore del bellissimo Salento, mentre tuo padre era impegnato a “servire la patria” come si suol dire per indicare la carne da macello mandata a combattere nelle odiose guerre decise dai potenti di turno. Avevi tre anni quando lui tornò e tu eri spaventata da quell’uomo grande, con la barba, che voleva abbracciarti e coccolarti. E soprattutto non ti andava giù che quell’estraneo volesse dormire con tua madre.
Eri una bambina molto sveglia e già da piccolissima aiutavi la famiglia nella gestione del vostro negozio, il più fornito del paese. Vi si trovava davvero di tutto, dall’occorrente per cucire alla farina, dai legumi al formaggio, e ottimo olio e vino di vostra produzione. Le donne del paese venivano con grandi fazzoletti che riportavano via pieni di zucchero, pasta, riso… Non sempre avevano i soldi per pagare, ma voi molto spesso accettavate di buon grado di fare credito. Il negozio era sempre aperto perché a quei tempi non c’erano diritti. Tante faticose ore dietro il banco senza interruzioni, senza feste e senza vacanze.
Eri molto brava a scuola ed avresti tanto voluto studiare, ma questo non era possibile in un paese del sud degli anni ’20. Le donne non studiavano allora e comunque un evento drammatico pose fine ad ogni tuo sogno: avevi 15 anni quando la mamma amatissima vi lasciò in soli tre giorni, portata via da una polmonite fulminante. A quei tempi gli antibiotici non erano ancora disponibili e questa perdita ti ha segnata per sempre causandoti un dolore indescrivibile che ha accompagnato da allora la tua vita.
Le antiche e crudeli tradizioni del sud di quei tempi hanno costretto te e tua sorella, di cinque anni più grande, a dieci tristissimi anni di lutto stretto. Per un tempo assurdamente lungo due ragazze di 15 e 20 anni hanno indossato solo abiti ed accessori neri. Non era permesso né un timido sorriso né una distrazione. Non era consentito uscire né tantomeno divertirsi. Una vita durissima, scandita ogni giorno dalla Santa Messa alle 5 della mattina e da tante faticose ore in piedi dietro il bancone del negozio. Questa terribile esperienza ti ha rubato la gioventù.
Tra le persone che frequentavano il negozio c’era anche un ragazzino alto, magro e pallido. Non avresti mai pensato che, terminato il tempo del lutto, la sua famiglia si sarebbe presentata al nonno per chiedere la tua mano, come si usava allora. Il ragazzino esile a 19 anni aveva lasciato il paese per intraprendere la carriera militare ed era diventato un brillante Brigadiere della Guardia di Finanza. E così, dopo dieci interminabili anni, hai smesso il triste colore nero per indossare l’abito bianco.
Guardo la foto del tuo matrimonio, l’abito è molto elegante, il tuo viso grazioso è incorniciato da folti ricci neri ed illuminato da splendidi occhi scurissimi. Papà è bello nella sua divisa di gala. Accanto a lui il suo testimone, un maresciallo di Finanza alto e distinto, davvero affascinante. Ha già quasi 43 anni e forse non avrebbe mai pensato di incontrare in quell’occasione la donna della sua vita, tua sorella, della quale si innamora immediatamente. Nonostante la differenza di età, il loro matrimonio è stato lungo e molto felice.
Per te, donna del sud, un viaggio di nozze in treno, attraverso Napoli, Pompei, Roma, fino a Bellagio, sul Lago di Como, dove papà prestava servizio. Non eri mai uscita dal paese e ti sei trovata improvvisamente strappata ai tuoi affetti, catapultata in un ambiente diverso e difficile. Era il 1941, c’era la guerra e la vita era dura per tutti.
Mi raccontavi del dolore che provavi lontana dai tuoi parenti e soprattutto da tuo padre e da tua sorella, che amavi moltissimo. Mi raccontavi dell’impossibilità di comunicare con loro quando il Centro-Nord, occupato e sotto il dominio della Repubblica Sociale Italiana, si separò dal Regno del Sud che aveva dichiarato guerra ai tedeschi in seguito allo sbarco degli angloamericani. I vostri terreni, che producevano in abbondanza olive, uva, fichi erano stati requisiti dai tedeschi per costruire un campo di aviazione. Poi le cose, come si sa, precipitarono e loro se ne andarono, lasciandosi dietro devastazione e una quantità enorme di alberi secolari tagliati. Il nonno non si riprese mai più da quel dolore profondo che solo chi ama la campagna può capire.
E poi mi raccontavi di quella notte che un manipolo di partigiani assalì, armi alla mano e con intenti minacciosi, il distaccamento comandato da papà, spaventandoti a morte mentre stringevi tra le braccia il tuo piccolo, svegliato dalle urla e da violenti colpi al portone. Per difendere voi e la caserma, papà reagì e sparò in aria per allontanare i banditi. Ricevette un encomio dai superiori che però dovettero nascondervi per proteggervi da sicura rappresaglia. Conservo gelosamente quel documento ingiallito dal tempo e datato 29 settembre 1944, anno XXII dell’era fascista. Il Questore di Como si congratula con papà per l’atto di coraggio e sorrido leggendo i termini ampollosi che si utilizzavano a quei tempi: “Comportamento superbo… la Patria ha bisogno di uomini decisi ed impavidi… Fermezza davanti ai nemici della Patria…”. Mamma, tu non sai cosa vuol dire “politicamente corretto”, ma non credo che ti interessi.
E poi i trasferimenti. Ti sei trovata a soffrire il gelo. Non avevi l’acqua in casa ma dovevi attingere al pozzo nel cortile scendendo e salendo quattro piani di scale ogni volta. Non c’erano vetri alle finestre, ma fogli di carta e il cibo scarseggiava. Ed ancora altri paesi e altre città. Nella caserma di Piacenza sono nata io, e poi Massalombarda, in Romagna. Rammento mobili e scatoloni ammassati in un vagone ferroviario, ed infine la sede definitiva di Lucca. Ti ricordi? Non ci piaceva questa città all’inizio, ma dopo quanto l’abbiamo amata!
Sei stata una mamma severa con noi, la durezza della vita ti aveva resa forte, indomita, coraggiosa. Non abbiamo avuto smancerie, poche storie, ma tanto affetto ed un insegnamento costante sia da parte tua che di papà: il rispetto degli altri e delle leggi, l’onestà e la pulizia morale, la fedeltà agli impegni presi, il senso del dovere e della dignità, l’importanza dello studio e del lavoro. E ancora oggi, che ho passato da un pezzo la gioventù, questi rimangono i fari della mia vita.
La tua esistenza è stata dedicata completamente a noi. Nonostante la tua famiglia di origine fosse molto agiata, non abbiamo avuto né lussi né distrazioni. Ma non ci avete mai fatto mancare niente.
Non ci hai mai fatto sconti, ma sei stata sempre molto presente, cercando di capire i nostri problemi che diventavano immediatamente i tuoi.
Hai voluto che i tuoi figli si laureassero e trovassero da soli la loro strada nella vita. Mio fratello a sua volta intraprese la carriera nella Guardia di Finanza fino a raggiungere il grado di Generale della Riserva.
Sei arrivata a celebrare le nozze di diamante e con l’esempio ci hai insegnato che la famiglia va sempre difesa e tutelata usando la comprensione, la pazienza, il rispetto, l’amore.
Abbiamo festeggiato i tuoi cento anni, c’erano anche i fiori del sindaco, ricordi?
Ma un’altra tragedia stava per colpire la nostra famiglia. Il giorno del tuo centunesimo compleanno ti portai una torta e una bottiglia di spumante. Stranamente tu, solitamente così golosa, non hai voluto toccare niente ed hai lasciato malinconicamente la stanza. Io non capivo. Più tardi seppi che in quel preciso momento, a 400 chilometri di distanza, mio fratello era stato colpito da un’ischemia devastante. Ovviamente non ti dissi niente, ma mi sono sempre chiesta se fu una straordinaria coincidenza o un’arcana comunicazione tra anime legate da vincolo d’amore. So soltanto che da allora perdesti la voglia di vivere. Fu come se il tuo cuore di mamma avesse capito e tu e non tollerassi di sopravvivere al tuo adorato figlio.
Sono passati due mesi dalla sua scomparsa, ho tentato di proteggerti, ma la tua decisione è presa. Sono sei giorni e sei notti che non una goccia d’acqua riesce a penetrare le labbra pallide, anche le tue vene esilissime respingono i primi tentativi di prolungare un’esistenza che stai rifiutando con fermezza.
Ho rispettato la tua volontà e aghi, cannule e sondini non hanno violato il tuo corpo che così a lungo ha vissuto, sofferto, amato, pregato, sperato ed atteso. Adesso la tua fibra eccezionale sta cedendo alla pace che cerchi.
Ora le tue mani sono fredde tra le mie, il gelo mi pervade e morde il cuore ed io mi chiedo come potrò sopportare il dolore lancinante di due lutti così vicini. L’affetto della mia famiglia mi aiuterà e sicuramente ritornerò a sorridere e ad amare la vita.
Mamma, voglio dedicarti le parole che la madre di Isabel Allende le disse prima di morire:
“La morte non esiste, figlia. La gente muore solo quando viene dimenticata. Se saprai ricordarmi, sarò sempre con te”.