Dall’uso ambiguo delle emoji al sexting: un report del King’s College di Londra sottolinea l’urgenza di educare al consenso digitale giovani e adolescenti, aiutandoli a riconoscere e rispettare i segnali online.
Un’urgenza educativa
Nell’era delle comunicazioni online, il concetto di consenso sessuale si complica e assume nuove sfumature. Se in presenza fisica il consenso si esprime attraverso parole e linguaggio corporeo, nel mondo digitale queste coordinate vengono meno, lasciando spazio a messaggi ambigui, emoji interpretabili e silenzi equivoci.
La ricerca Consent in Digital Sexual Cultures, condotta dalla ricercatrice Rikke Amundsen del King’s College di Londra, porta alla luce una chiara realtà: il consenso digitale non può essere dato per scontato, ma deve essere appreso, compreso e costantemente negoziato.
Il consenso non è implicito, nemmeno online
Nel report emerge come il digitale abbia ampliato le cosiddette “zone grigie”, rendendo più difficile stabilire se un messaggio, un gesto o un’immagine siano realmente voluti e consensuali.
È nel mondo delle app di incontri, dei messaggi istantanei, delle foto e dei video privati che le giovani generazioni costruiscono gran parte delle loro esperienze relazionali e sessuali. Tuttavia, proprio in questi spazi digitali manca ancora un’educazione adeguata al consenso.
Le differenze di genere incidono profondamente: le ragazze sono frequentemente esposte a pressioni per l’invio di immagini intime, mentre i ragazzi spesso ricevono segnali confusi su cosa significhi davvero il rispetto dell’altro. Il consenso viene allora inteso non come un processo continuo, ma come un evento unico e statico – una visione pericolosa e riduttiva.
I rischi di una comunicazione ambigua
Uno degli ambiti più critici analizzati dalla ricerca è il “sexting”, pratica ormai diffusa tra adolescenti e giovani adulti. L’invio di immagini intime può rappresentare un’espressione consapevole del desiderio, ma troppo spesso avviene sotto pressione, o senza una piena comprensione delle conseguenze. La condivisione può essere positiva solo quando avviene nel pieno rispetto reciproco, con una comunicazione chiara e continuativa.
Purtroppo, non è raro che queste immagini vengano successivamente diffuse senza consenso, alimentando fenomeni come il “revenge porn”, con conseguenze devastanti per le vittime, sia a livello psicologico che sociale. Il consenso, ricordano gli autori del report, deve essere esplicito, continuo e revocabile. Un sì dato ieri non vale per sempre.
Le piattaforme hanno una responsabilità
Le app e le piattaforme digitali su cui avvengono queste interazioni spesso non sono pensate per favorire un dialogo consapevole e rispettoso.
L’ambiente digitale – veloce, immediato, orientato alla performance – tende a scoraggiare la riflessione e il confronto. In questo contesto, chiedere, aspettare una risposta chiara, capire i segnali, sembra fuori tempo. Ma è proprio qui che l’educazione gioca un ruolo fondamentale.
Inoltre, il report evidenzia come donne e minoranze di genere siano maggiormente esposte a molestie e richieste insistenti. I sistemi di segnalazione presenti sulle piattaforme risultano spesso inefficaci, e mancano strumenti strutturali di prevenzione. È quindi urgente che le piattaforme digitali assumano una maggiore responsabilità nel promuovere ambienti più sicuri e inclusivi.
Il consenso si insegna, non si improvvisa
Educare al consenso oggi significa insegnare un linguaggio nuovo, capace di leggere segnali diversi da quelli tradizionali. Non basta dire “no significa no”. Bisogna andare oltre: comprendere i silenzi, rispettare i cambi di idea, fare domande esplicite, imparare a fermarsi. In questo processo, la scuola, le famiglie, i media e la società nel suo complesso hanno un ruolo cruciale.
Il report del King’s College segnala come in molti paesi europei – Italia inclusa – i programmi educativi non tengano ancora conto della dimensione digitale. L’educazione sessuale, quando presente, si concentra spesso su aspetti biologici o moralistici, tralasciando completamente i linguaggi del desiderio online.
Ascoltare, confrontarsi, crescere
Una delle indicazioni più forti che emergono dal lavoro di Rikke Amundsen è la necessità di creare spazi in cui i giovani possano confrontarsi, raccontarsi, porre domande.
Luoghi sicuri dove si possa parlare di corpo, emozioni, consenso e desiderio senza il timore di essere giudicati. In assenza di percorsi educativi strutturati, spesso sono le organizzazioni del terzo settore a colmare questo vuoto, ma si tratta di iniziative isolate, non sistemiche, che faticano ad avere un impatto duraturo.
Molti giovani oggi apprendono il linguaggio dell’intimità attraverso contenuti non verificati online, spesso pieni di stereotipi e disinformazione. Questo rende ancora più urgente fornire strumenti affidabili, e creare una cultura del rispetto digitale che parta da basi solide.
Una nuova visione della sessualità online
L’educazione al consenso digitale non deve trasformarsi in un approccio punitivo o moralista. La sessualità online non va demonizzata, ma capita. Accompagnare, non vietare: questa è la chiave. Negare l’esistenza del desiderio digitale significa lasciare le nuove generazioni senza strumenti. Invece, serve una rete educativa ampia, capace di leggere i nuovi linguaggi e di trasformarli in risorse per una crescita sana e consapevole.
Educare al consenso, oggi, significa anche ripensare il design delle tecnologie, per renderle più attente alla comunicazione interpersonale e alle sue complessità. Significa promuovere una cultura digitale più lenta, più consapevole, più umana.
Nell’era in cui il corpo si dissolve nello schermo, parlare di consenso non è più solo un’esigenza etica, ma una competenza fondamentale. Serve un’educazione affettiva all’altezza delle sfide contemporanee: capace di ascoltare, di includere e di insegnare che l’unico vero linguaggio dell’intimità è quello del rispetto.
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