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Oggi, dopo un sanguinoso passato prossimo, la democrazia è a rischio. Contro tutti i regimi autoritari ancora vivi, l’unico antidoto è la Memoria e l’impegno civico.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha istituito la “Giornata della Memoria” nel 2005 per ricordare il 27 gennaio di settantotto anni fa, quando le truppe dell’Armata Rossa liberarono i prigionieri dal campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia. In quel complesso di edifici fu sterminato un milione di ebrei. La loro persecuzione, messa in atto dalla Germania nazista, era iniziata in nome dell’odio razziale. Sì, la “razza ebraica” veniva considerata una “razza a sé” che doveva essere estirpata. Il cieco odio tedesco, come una macchia d’olio, si è presto espanso, arrivando a colpire i rom, gli omosessuali, i disabili, i dissidenti politici. Per espiare colpe che non avevano, donne, uomini e bambini, venivano internati nei campi e uccisi nelle camere a gas. Quel regime autoritario ha lasciato dietro di sé una lunga scia di rabbia, di sangue, di dolore. Soprattutto, ha indignato il mondo intero. È solo passato recente o una ferocia che si manifesta ancora oggi sotto altre forme e con altri modelli?
“La democrazia è a rischio. La sua sopravvivenza è messa in pericolo da un insieme di minacce e da una marea crescente di autoritarismo”. Queste parole introducono – e traducono – i dati raccolti dagli autori dell’Economist Intelligence Unit nel documento Democracy Index 2021. L’analisi si basa su indicatori democratici, quali la rappresentatività del Governo, i diritti fondamentali, i controlli sul potere esecutivo, la partecipazione e il ruolo della società civile, l’imparzialità e la trasparenza dell’Amministrazione pubblica. Il testo analizza e conferisce a ciascuno dei 160 Stati un punteggio tenendo conto, anche, del tipo di regime: democrazie complete, democrazie imperfette, regimi ibridi, regimi autoritari. In quest’ultima categoria figurano 59 Paesi, con l’Afghanistan in fondo alla classifica. Nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte a guerre civili, imposizioni, dittature.
“In questo momento la democrazia è sotto attacco, sia letterale che figurato”, si legge nella quarta edizione del Global State of Democracy Report pubblicato nel 2022, che racconta anche un parallelismo con l’anno precedente, quello della pandemia, che aveva acuito ancora di più disparità economiche e sociali. E da “stagnazione” a “erosione” della democrazia il passo è stato breve. Lo dimostra la storia recente, lo raccontano le immagini del conflitto russo-ucraino, lo testimonia la rivolta in Iran. Secondo i dati di Iran Human Rights, a fine novembre 2022, si contavano 440 manifestanti uccisi, 18.059 manifestanti e 62 giornalisti incarcerati, 156 città coinvolte nelle proteste. Tutto questo a soli due mesi dall’uccisione di Mahsa (Jina) Amini, perché all’età di 22 anni non portava il velo in modo corretto.
Ed è così che le parole di Kevin Casas-Zamora, Segretario Generale, International IDEA (Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale), devono leggersi con ottimismo per tracciare una visione globale che parli il linguaggio del rispetto: «Ci sono quelli che, in questo momento, stanno chiedendo i diritti e le libertà che la democrazia promette con un immenso rischio personale. Il popolo ucraino sta resistendo alla brutale invasione russa, le donne in Iran si oppongono a una dittatura teocratica di 40 anni e il popolo del Myanmar si rifiuta di accettare un ritorno al governo militare. Stanno dimostrando oltre ogni dubbio che l’autodeterminazione, la libertà e la democrazia sono aspirazioni universali. Molti di loro stanno pagando il prezzo più alto per queste aspirazioni. Molti di loro non avranno altra tomba che la nostra memoria. Dobbiamo ricordare ogni giorno le loro lotte, impegnare il nostro fermo sostegno alla loro causa e rendere il nostro lavoro degno del loro sacrificio». Memoria, lotta e impegno civico. Per non dimenticare, per non lasciare che la storia si ripeta.
di Anna Grazia Concilio
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