Lavoratori dipendenti e famiglia, novità per il 2023. Nel Disegno di Legge di Bilancio, in approvazione in questi giorni, è previsto un aumento dell’indennità riconosciuta per il congedo parentale.
Il congedo parentale è una misura facoltativa a sostegno della genitorialità: madri e padri con contratto di lavoro dipendente, entro i primi 12 anni di vita del figlio, o dal suo ingresso in famiglia in caso di adozione o affido, possono beneficiare alternativamente di un periodo di astensione dal lavoro pari a 10 mesi, prolungabili ad 11. I genitori lavoratori ricevono inoltre un’indennità Inps del 30% dello stipendio per un periodo massimo di 9 mesi.
Il disegno di legge di bilancio 2023 interviene sull’aspetto economico del congedo parentale: in una prima bozza di proposta, era stato previsto un aumento dell’indennità, dal 30% all’80%, per uno dei mesi spettanti e solo se a richiederlo fosse stata la madre lavoratrice entro i primi 6 anni di vita del figlio. In seguito ad un emendamento discusso da varie forze politiche e sindacati, il testo in discussione prevede la maggiorazione dell’indennità anche se a richiedere il congedo sia il padre.
Congedo parentale: una misura a sostegno delle donne lavoratrici
La misura inizialmente aveva lo scopo di sostenere il reddito delle madri lavoratrici che, in situazioni di bisogno, devono restare a casa con il figlio. La stessa Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante la conferenza stampa di presentazione della Legge di Bilancio, ha commentato la novità come “una sorta di salvadanaio del tempo senza ritrovarsi in condizione economiche difficili”. Le difficoltà economiche sono l’anticamera di violenza, lavoro nero, povertà: per questo parlare di indipendenza economica della donna è uno degli indici dello stato di salute della società.
E i padri lavoratori?
Nella prima bozza di normativa, i padri lavoratori risultavano assenti. Se a richiedere il congedo parentale fossero stati loro, l’indennità sarebbe rimasta al 30%. Si trattava di una differenza di trattamento molto evidente, che è stata sanata includendoli nel campo di operatività della norma. Sul punto si è espresso anche il ministro dell’Economia Giorgetti: “È stata rilevata un’incongruenza sul fatto che non potesse essere prevista questa indennità anche ai padri”.
Congedo parentale: questione di parità
La proposta di estendere l’aumento dell’indennità anche per i padri è un passo avanti verso una più bilanciata distribuzione del carico lavorativo e familiare. La questione accende i riflettori su una tematica tanto importante quanto spinosa: il ruolo della donna e dell’uomo. Sin dal momento della nascita, le persone sono investite di importanti aspettative sociali che dipendono dal sesso e che si tramandano da generazioni. Una donna sarà – molto spesso – chiamata ad occuparsi della casa e della famiglia, mentre un uomo dovrà lavorare e contribuire alla cura dal punto di vista economico. E in questo senso la legge può essere uno strumento di indirizzo sociale molto forte: riconoscere un aumento dell’indennità solo alle madri avrebbe significato infatti incentivare loro a restare a casa per i figli e non i padri.
Il ruolo della legge
È evidente che oggi, nonostante le donne non vivano più solo in casa e vadano a lavorare, la legge continua ad imputare (quasi) solo a loro l’onere di occuparsi materialmente dei figli. Sul punto, i dati sono esplicativi: dal rapporto realizzato da Openpolis insieme all’impresa sociale Con i bambini risulta che nel triennio 2017/2020, nel settore privato, il 79,2% dei percettori il congedo parentale siano state donne, a fronte di una minoranza del 20,8% di uomini. Un impianto legislativo davvero paritario dovrebbe permettere alle prime di non essere limitate dalla loro funzione di madre nel mondo del lavoro e ai secondi di potersi dedicare alla paternità e alla cura della casa, nonostante siano uomini e lavoratori. Si tratta di dare a tutti libero accesso a due diritti fondamentali: al lavoro e alla genitorialità.
L’assetto legislativo in Italia
Rispetto alla questione famiglia, l’Italia ha delle politiche fortemente sbilanciate, a seconda che si tratti di uomini e donne. Basti pensare alla netta differenza tra congedo di maternità e paternità. Si tratta di un periodo di astensione obbligatorio dal lavoro – diverso da quello parentale, che invece è facoltativo – durante il quale si percepisce un’indennità pari all’80 o al 100% dello stipendio. Le donne hanno diritto a 5 mesi di congedo, gli uomini solo a 10 giorni. Uno sbilanciamento incomprensibile, basato sul ruolo storicamente ricoperto da uomo e donna. Ciò risulta ancora più evidente se si pensa che il congedo di paternità è stato introdotto solo nel 2012 ed inizialmente era pari ad un giorno.
Non solo Italia, ma anche Europa
In Europa ci sono esempi virtuosi di Stati che riconoscono sia agli uomini sia alle donne lo stesso diritto di prendersi cura dei figli alla nascita: tra tutti, la Spagna. Dal 2021 il congedo è di 16 settimane per entrambi, retribuite al 100%; sei settimane sono obbligatorie, le restanti dieci facoltative. Tuttavia, gli stereotipi di genere non sono un problema solo italiano.
L’Unione Europea, prendendo atto dello sbilanciamento nel lavoro di cura non retribuito a carico delle donne che c’è in molti paesi, ha emanato la Direttiva Ue 2019/1158, che mira proprio alla ricerca di un equilibrio tra attività professionale e vita familiare. Si tratta di un processo lungo e complesso, che si scontra con convinzioni profondamente radicate nelle persone, ma che passo dopo passo è possibile smontare. Le leggi, infatti, sono destinate a cambiare per adeguarsi alle evoluzioni sociali. In questo senso, quindi, la legge è al servizio della società, non viceversa.
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