Due anni e mezzo di reclusione in una colonia penale per il biologo settantenne, accusato di propaganda antinazionale. È uno dei leader di “Memorial”, l’organizzazione insignita del premio Nobel per la pace nel 2022.
Era appena morto Alexei Navalny quando la Russia di Putin ha deciso di riaprire il processo contro Oleg Orlov, il biologo dissidente già condannato a un’ammenda nell’ottobre del 2023. Il 27 febbraio, a conclusione di un rapido procedimento, Orlov è stato riconosciuto colpevole di discredito reiterato delle forze armate, aggravato dall’odio per i “valori tradizionali”, e gli è stata inflitta una condanna a due anni e mezzo di reclusione da scontare una colonia penale. Il giorno prima, in una dichiarazione pubblica ripresa anche dai media italiani, aveva detto di sentirsi come il protagonista de “Il Processo” di Franz Kafka, mandato a morire in nome di un arbitrio travestito da rispetto delle regole formali.
Chi è Oleg Orlov
Nato a Mosca nel 1953 in un famiglia presto delusa dal comunismo staliniano, Orlov si laureò in biologia all’università statale della capitale impiegandosi poi presso l’Istituto di Fisiologia Vegetale dell’Accademia delle Scienze sovietica. Dalla fine degli anni Settanta si pose in aperta dissidenza col regime di Mosca, diffondendo volantini che stigmatizzavano l’intervento militare in Afghanistan ed esprimevano sostegno al movimento polacco Solidarnosc di Lech Walesa. Alla fine degli anni Ottanta entrò nell’organizzazione Memorial, appena fondata da un gruppo di intellettuali del calibro del fisico Andrei Sacharov, premio Nobel per la pace nel 1975, e dalla matematica Svetlana Gannuskina.
Memorial e la difesa dei diritti umani
Impegnata inizialmente nella riabilitazione delle vittime della feroce repressione politica operata dal regime sovietico (già negli anni Settanta gli intellettuali che l’animavano avevano chiesto l’autorizzazione a pubblicare in Unione Sovietica il libro manifesto “Arcipelago Gulag” di Alexander Solzenicyn), Memorial si è poi caratterizzata per la strenua difesa dei diritti umani in Russia e non solo, criticando tutte le campagne militari di Putin, da quella in Ossezia del Sud a quella in Cecenia, fino all’attacco improvviso all’Ucraina. Nel 2022 Orlov ha ricevuto in rappresentanza di Memorial il premio Nobel per la pace. Ma l’anno prima la sezione russa dell’associazione, quella “madre”, era stata forzatamente disciolta da Putin.
Dalla morte di Navalny alla resa dei conti con Orlov
Il 27 febbraio il cerchio si è chiuso: morto Navalny, Putin ha sferrato l’attacco a un altro irriducibile oppositore, una volta ancora facendo la voce grossa alla vigilia delle elezioni presidenziali. In tribunale, subito dopo la sentenza di condanna, Oleg Orlov ha dichiarato con calma e decisione: “Putin sta spingendo la Russia indietro, dal XXI al XX secolo, e ancora di più, fino al XVII, al XVI secolo. Purtroppo trascina con sé il Paese, ma la vittoria finale sarà comunque nostra”. Il riferimento ad alcune tra le fasi più buie della storia russa, tra quelle che più l’hanno vista lontana dall’Europa, non è stato casuale. Estremamente critico nei confronti dell’aggressione all’Ucraina, testimone della deriva autoritaria dell’Unione Sovietica prima e poi del regime nazional-capitalista di Putin (che non ha esitato a qualificare come “fascista”), Orlov individua proprio nella storia la matrice dei mali della Russia. La nazione degli zar non riesce a liberarsi del suo passato imperiale: ostaggio dei suoi fantasmi, non è ancora in grado di spezzare il cerchio della violenza e dell’autoritarismo.
(Foto apertura: KOZYREV OLEG / Shutterstock.com)
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