Lasciare il posto di lavoro per sopraggiunti impegni di assistenza famigliare. Succede, ma soprattutto alle donne. Negli Stati Uniti come in Italia. Ovunque. Questa pandemia, inoltre, sta rendendo il peso dei carichi famigliari sulle donne ancora più pressante, tanto da dover dire addio al lavoro e ai progetti professionali.
Capita alle giovani donne e a quelle più mature. Su questo argomento ci sono due indagini che sembrerebbero l’una lo specchio dell’altra. Una fatta negli Stati Uniti e una in Italia.
Con le spalle al muro
Le donne negli Stati Uniti stanno interrompendo le loro carriere. Solo lo scorso settembre sono state 865mila – con un’età pari o superiore ai 20 anni – a lasciare il lavoro. Davvero tante, troppe, rispetto ai 216mila uomini della stessa fascia di età. I dati provengono da un’analisi del Dipartimento del Lavoro del National Women’s Law Center.
Non ce la fanno a gestire un carico familiare divenuto ormai sproporzionato. Si riorganizzano ma chiudono gli asili nido, le scuole, i servizi e le case di cura. Ci sono i figli da seguire e i genitori anziani da assistere. E se c’è in famiglia uno stipendio al quale rinunciare, più spesso è quello delle donne, in nome dell’annosa disuguaglianza retributiva di genere (altra “pandemia” globale).
In Italia le cose non sono particolarmente diverse. Con la pandemia il 60% delle donne italiane ha dovuto gestire da sola famiglia, figli e persone anziane, spesso insieme al lavoro: un carico pesante, che ha portato 1 donna su 2 a dover abbandonare piani e progetti a causa del Covid. Lo rileva “Donna e cura in tempo di Covid-19”, un’indagine di Ipsos commissionata dalla Onlus WeWorld per la campagna #Togetherwebalance lanciata per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficoltà che le famiglie e i più fragili stanno attraversando durante questa emergenza.
Tra le donne, le più in sofferenza sono quelle tra i 31 e 50 anni: in questa categoria il 71% dichiara di fare tutto da sola. Ed è proprio in questa fascia di età che le rinunce sono più pesanti tanto che il 40% annulla o posticipa la ricerca di lavoro.
Con il sovraccarico familiare aumenta il livello di stress
La pandemia ha aumentato gli impegni di cura in famiglia alzando i livelli di stress e penalizzando le carriere lavorative. Le conseguenze sulla forza lavoro femminile potrebbero essere disastrose in assenza di politiche a favore della famiglia. A dirlo è un’indagine dell’Associazione degli over 50 statunitense AARP e condotta con S&P Global. La ricerca si basa sui risultati di un sondaggio, condotto dal 20 agosto all’8 settembre 2020, su 1.573 persone, 51% uomini e 49% donne, che lavorano per un’azienda con più di 1.000 dipendenti.
Anche negli Usa, le donne storicamente svolgono un ruolo maggiore nel fornire assistenza familiare, ma gli uomini stanno dando il loro contributo, tanto che oggi il 39% dei caregiver sono maschi. L’indagine di Aarp, quindi, ha misurato i livelli di stress di entrambi i sessi rilevando un forte aumento di stress nel 30% degli intervistati a causa della pandemia, mentre per il 43% è risultato moderato. Il 63% dei caregiver giovani (18-24 anni) ritiene di subire penalizzazioni sul lavoro a causa dei maggiori impegni nell’assistenza familiare, rispetto al 45% di quelli di età compresa tra 35 e 54 anni e del 14% tra gli over 55.
L’apertura ai congedi familiari e agli orari flessibili
Quello che in Italia conosciamo come congedo parentale, negli Stati Uniti non esiste. Secondo il Rapporto Unicef 2019 sulle politiche a misura di famiglia, gli Stati Uniti sono l’unico Paese all’interno dell’Ocse a non prevedere a livello nazionale alcun tipo di congedo familiare retribuito, che si tratti di congedo di maternità, congedo di paternità o congedo parentale. Tantomeno non sono previsti permessi retribuiti per assistere un proprio familiare, genitore o parente, né regole che impongano alle aziende di mettere in campo congedi o permessi.
In tutto questo, però, una buona notizia c’è: il 58% delle aziende con entrate superiori a 1 miliardo di dollari sono più propense a concedere il congedo parentale retribuito (è del 42% nelle aziende con fatturato inferiore) e orari di lavoro flessibili (43% contro il 38% delle aziende più piccole). Inoltre, sono in aumento anche i congedi familiari retribuiti per i caregiver che si occupano della cura degli adulti.
Insomma, le aziende stanno andando per conto loro, stabilendo delle tutele interne per trattenere i dipendenti divisi tra lavoro e famiglia in piena emergenza sanitaria. L’auspicio, si sottolinea nell’indagine, è che questi segnali di apertura proseguano e si estendano anche nel dopo pandemia.
La flessibilità che penalizza la retribuzione
E in Italia? La strada verso la parità di genere nel mondo del lavoro è ancora lunga. Secondo il Gender Equality Index siamo ancora all’ultimo posto dell’Ue. Donne costrette ad accettare retribuzioni inferiori in cambio di flessibilità e di orari che consentano di conciliare lavoro e famiglia. E allora che si fa? La speranza al momento è tutta nel Recovery plan. Il Piano di ripresa nazionale a seguito della pandemia vale 209 miliardi di euro tra prestiti e sussidi dell’Unione europea. E molto ci permetterrebbe di fare.
Investire parte di queste risorse è un’occasione «irripetibile per ridurre le profonde diseguaglianze di genere a partire da quelle del mercato del lavoro, ha sottolineato la sottosegretaria all’Economia, Cecilia Guerra in una recente audizione alla Commissione Bilancio di Camera e Senato. «Il Governo – ha spiegato – interverrà con strumenti importanti quali il potenziamento dei servizi di cura, asili nido in primo luogo».
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