Sembra proprio che la gestione delle emozioni migliori con l’età. Uno studio dell’Università della California ha dimostrato che nell’invecchiamento si incrementa la capacità di regolazione emotiva, sfatando così il pregiudizio che definisce “in declino” i processi legati all’anzianità.
Quando l’elaborazione delle informazioni comincia a rallentare, si è meno portati ad agire in modo impulsivo ma a pensare di più. Inoltre, se è vero che con gli anni diminuisce l’attività del lobo frontale del cervello, responsabile del ragionamento, quella della corteccia perifrontale invece – che è deputata alla sfera emozionale – tende ad aumentare rispetto ai giovani adulti.
«Già dai primi anni Novanta, quando ero ancora una studentessa – ha dichiarato la psicologa Susan Turk Charles, a capo del progetto insieme a Laura L. Carstensen – mi sono innamorata dell’idea di studiare un processo in crescita legato all’invecchiamento. E quello che abbiamo scoperto nel tempo è che in media le persone anziane sono in grado di scegliere meglio i contatti sociali. Ne hanno di meno ma più soddisfacenti per il loro benessere emotivo. E pensare che all’epoca la letteratura scientifica riferiva che le nostre emozioni si sviluppavano completamente all’età di 18 anni».
Con l’età le emozioni positive superano quelle negative: è la saggezza?
Dallo studio è emerso che le emozioni positive cominciano a superare quelle negative fra i 55 e i 70 anni. Eppure anche fra i centenari analizzati si sono verificati casi di livelli complessivamente elevati di benessere emotivo. In generale, più si invecchia e più si ha la capacità di riflettere sulle cose davvero importanti. E di scremare le attività e i pensieri per i quali valga la pena di spendere tempo e fatica. Insomma, si tende a lasciar andare con più facilità una situazione vissuta come negativa, specialmente con amici e familiari.
Alle 2.500 persone coinvolte nello studio sono state chieste informazioni su eventuali fattori di stress sperimentati per otto giorni. Solo il 10% ha dichiarato di non averne avuti. L’aspetto interessante è che questa stessa percentuale si è definita mediamente più felice di chi invece aveva subito almeno una situazione di stress nel corso della settimana esaminata. Ma ha anche ottenuto punteggi inferiori nei test cognitivi. Dunque lo stress, ritenuto finora un fattore negativo, potrebbe fungere invece da stimolatore cognitivo perché mette alla prova e spinge alla risoluzione di problemi, oltre che all’interazione con gli altri. E le sfide mentali aiutano a mantenere in forma la nostra emotività, mentre l’isolamento e le attività passive rischiano di far perdere il proprio vantaggio cognitivo.
Il vero nemico da combattere, quindi, resta la solitudine. Un numero sempre maggiore di studi ha dimostrato che gli anziani inseriti in solide reti sociali e con elevati livelli di attività sociale hanno meno probabilità di sperimentare un declino delle proprie funzionami cognitive.
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