Nel nostro tempo difficile sono sempre più numerosi i cittadini che soffrono di solitudine.
È una realtà in crescita, che colpisce in particolare le persone non più giovani. Secondo alcuni studi seri, tra gli ultrasessantacinquenni la percentuale di individui soli, e che soffrono per questa loro condizione, raggiunge nel nostro paese il 23-25%.
Di fronte a questa realtà dolorosa, oggi vi è un impegno determinato per ridurre la fatica di vivere di chi non trova vicinanza, ascolto, comprensione, aiuto nel momento delle crisi alle quali va incontro da parte di altri cittadini. Di seguito presento gli eventi negativi che la solitudine produce nella vita degli anziani, però cerco di prospettare anche la possibilità che l’anziano sia aiutato ad uscire dal tunnel buio dominato dalla solitudine.
Gli studi epidemiologici più recenti hanno dimostrato che la solitudine è ‘patogena’; è un termine molto pesante, che però ben descrive i danni che, con diversa intensità, sono subiti sul piano della salute mentale e somatica del sentirsi in una gabbia di dolore, che non si può comunicare a nessuno, perché nessuno è disponibile ad ascoltare. Gli studi indicano un aumento forte, come conseguenza della condizione di solitudine, delle patologie cardiopolmonari, del 30% di demenza, in particolare della malattia di Alzheimer, di altre malattie quali diabete, obesità, abbassamento delle difese immunitarie, condizioni che nel loro insieme provocano un aumento importante del rischio di morte. Un dato molto importante, sia per le valutazioni cliniche che per le considerazioni sui possibili meccanismi d’azione, è l’aumento del 30% degli ictus nelle persone sole; è ben noto da molte ricerche che le relazioni sociali favoriscono il benessere sul piano strettamente somatico, ma il dato suscita davvero impressione. Un evento clinico di estrema gravità, con rilevanti manifestazioni ‘biologiche’ può essere direttamente collegato con un evento come la solitudine.
Vi sono varie testimonianze sui danni della solitudine in molti diversi paesi; ad esempio, in Giappone esiste il termine “bocca sola”, per dimostrare come la solitudine non permette di mangiare in compagnia, mentre la solitudine si tampona almeno in parte con il cibo. L’isolamento sociale assomiglierebbe alla fame! In altre parole, le relazioni sono un bisogno ‘fisico’ dell’individuo, con tutte le relative conseguenze sul piano della salute. I dati sulla mortalità in Giappone sono drammatici: 37.000 persone sono morte sole l’anno scorso, delle quali 4.000 sono state scoperte dopo oltre un mese dall’evento. Anche in Cina il problema della solitudine dell’anziano riveste una forte rilevanza sociale; dopo le scellerate politiche governative per ridurre la natalità adottate nei decenni scorsi, oggi il paese si trova ad affrontare i drammatici problemi della solitudine degli anziani, che non trovano più accoglienza nelle famiglie prive di giovani successori.
Il fenomeno sembra in peggioramento in tutte le società, né le nuove modalità di comunicazione sembrano essere efficaci. D’altra parte, è ovvio che il sistema dei social non è assolutamente in grado di sostituire la relazione personale, diretta, soprattutto quando è in gioco la sensibilità di persone che nel corso della vita hanno goduto di relazioni dirette e significative. Chi scrive, peraltro, è convinto, in dissenso con quanto sostenuto da diversi studiosi, che quando invecchieranno le coorti di età più recenti anche queste non troveranno nel sistema dei social lenimento alla loro solitudine.
Di fronte a questo scenario di forte preoccupazione, è possibile sperare nella costruzione di un mondo dove la solitudine è controllata? Realisticamente non si può ipotizzare una rivoluzione in pochi anni; provo però a dare alcune indicazioni.
Un aspetto interessante deriva dall’assunzione da parte della medicina di responsabilità verso chi è solo, attraverso le indicazioni di misure concrete che possono rendere meno pesante la vita. Non vorrei essere male interpretato, ma oggi il sistema delle cure può espandersi fino a intervenire nella realtà più intima del cittadino sofferente, indicandogli atteggiamenti che possono contribuire a rendere meno pesante la cappa di solitudine nella quale vive. La medicina, e il medico sensibile, sono in grado di suggerire le modalità per cercare di sottrarsi alla solitudine, adottando atteggiamenti generosi verso sé stessi e verso gli altri. Entra in gioco, in questo ambito, il convincimento del singolo cittadino che la vita di rinuncia alla supremazia dell’io porta a una vita lunga e in salute, mentre una vita dominata dal noi porta a una più elevata possibilità di salute e di benessere.
La generosità è lo strumento principale per combattere la solitudine e costruire per se stessi una vita di benessere. Chi è generoso pensa agli altri e ne viene ricompensato; chi è generoso dedica tempo al vicino bisognoso di affetto e di accompagnamento, costruendo così un ponte sul quale in futuro continueranno a passare legami e affetti. È, si potrebbe dire, una “generosità ripagata”, in particolare sul piano della riduzione della sofferenza causata dalla solitudine.
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