Dopo il via libera della Corte dei Conti lo scorso 18 gennaio, è entrato in vigore il Decreto CER che disciplina lo sviluppo delle Comunità Energetiche Rinnovabili e l’autoconsumo in Italia.
Le Comunità Energetiche Rinnovabili (o Energy Community) – previste dalla Direttiva Europea RED II (2018/2001/UE) -grazie alla conversione in legge del Decreto Milleproroghe 162/2019 sono state introdotte di recente anche in Italia. Ora l’approvazione del Decreto CER dovrebbe semplificare la loro diffusione consentendo così di soddisfare meglio il fabbisogno energetico generale. Ma soprattutto di proporre nuovi modelli socioeconomici incentrati sulla sostenibilità e la circolarità, senza l’uso di combustibili fossili.
Cos’è una Comunità Energetica Rinnovabile
In genere, per Comunità Energetica Rinnovabile si intende un’associazione tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali e piccole/medie imprese che stabiliscono di unire le loro forze per produrre, scambiare e consumare energia da fonti rinnovabili su scala locale. Lo scopo è quello di generare e gestire in modo autonomo energia verde a costi vantaggiosi, riducendo così le emissioni di CO2 e lo spreco energetico.
In sostanza, una Comunità Energetica è un’associazione che produce e condivide energia rinnovabile, pulita, attraverso – ad esempio – impianti fotovoltaici, a prezzi accessibili per coloro che vi aderiscono. Il nuovo decreto ha individuato due strumenti per poterle realizzare: un contributo a fondo perduto o una tariffa incentivante sull’energia rinnovabile prodotta.
Il contributo a fondo perduto
Il contributo previsto potrà coprire fino al 40% dei costi, sarà finanziato dal PNRR e rivolto alle comunità i cui impianti siano realizzati nei Comuni con meno di 5mila abitanti.
L’importo erogabile varietà a seconda della potenza: 1.500 euro/kW per impianti fino a 20 kW, 1.200 euro/kW per impianti di potenza compresa fra 20 e 200 kW, 1.100 euro/kW per potenze da 200 a 600 kW, 1.050 euro/kW per impianti da 600 a 1.000 kW.
La tariffa incentivante
La tariffa incentivante sull’energia rinnovabile prodotta e condivisa per tutto il territorio nazionale sarà riconosciuta dal GSE, il Gestore dei Servizi Energetici, per 20 anni dalla data di entrata in esercizio dell’impianto, e sarà compresa fra 60 euro/MWh e 120 euro/MWh, in base alla potenza dell’apparato e al valore di mercato dell’energia. Per gli impianti fotovoltaici è prevista un’ulteriore maggiorazione fino a 10 euro/MWh in funzione della localizzazione geografica.
L’iter di attuazione
A breve saranno approvate dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica le regole operative che dovranno disciplinare modi e tempi di riconoscimento degli incentivi. Al GSE spetterà di gestire le richieste attraverso il proprio portale. Sul sito del GSE è possibile raccogliere maggiori informazioni per orientare i cittadini, gli enti e le piccole e medie imprese nella realizzazione di una comunità energetica.
Quali impianti possono far parte di una CER
Come dicevamo una Comunità Energetica Rinnovabile può essere un insieme di cittadini, enti territoriali, autorità locali, piccole medie imprese, enti religiosi, del Terzo Settore e di protezione ambientale, di ricerca, che condividono l’energia elettrica rinnovabile prodotta da impianti nella disponibilità di uno o più soggetti associati.
Nella CER l’energia può quindi essere condivisa fra produttori e consumatori, all’interno della stessa area geografica, purché sia prodotta da fonti rinnovabili (impianti fotovoltaici, idroelettrici, eolici, a biogas e biomasse).
Secondo l’associazione Italia Solare, entro il 2030 le Comunità Energetiche potrebbero concorrere per circa il 15% al raggiungimento dell’obiettivo del fotovoltaico. C’è però una criticità che è stata evidenziata: in base al Decreto, potranno accedere all’incentivo solo le comunità che risultino già regolarmente costituite alla data di entrata in esercizio degli impianti.
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