Un’intervista esclusiva con Elisa Ercoli di Differenza Donna per fare il punto sulla situazione della violenza di genere nel nostro paese. I progressi fatti e le sfide ancora aperte.
Nel corso degli ultimi anni l’Italia si è dotata di un quadro normativo per il femminicidio, inteso come l’uccisione di una donna ma anche come fenomeno più ampio, che comprende molte condotte come maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, economica, agite da uomini in ambito familiare e sociale.
Intervista a Elisa Ercoli, Differenza Donna
Di evoluzione delle leggi italiane e dello stato attuale di tutela che può essere messa in campo per le vittime di violenza di genere, 50&Più ha parlato con Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna, associazione nata nel 1989 che oggi aiuta le donne tramite centri antiviolenza, case rifugio, ascolto e valutazione del rischio al numero 1522, supporto legale, sociale e psicologico.
Dottoressa Ercoli, qual è il quadro normativo attuale entro il quale si muove l’Italia a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere?
Il punto di partenza è stata la Legge 119 del 2013, conosciuta come “Legge sul femminicidio”, che ha iniziato a definire una specificità del fenomeno. Poi nel 2019 è arrivata la Legge 69, il cosiddetto “Codice Rosso”, e nel 2023 la Legge 168, o “Legge Roccella”, che lo ha rafforzato. Tutte queste norme sono state scritte sull’esperienza pratica dei percorsi di protezione delle donne. Possiamo dire che abbiamo un buon sistema normativo in merito, tranne per la violenza sessuale per la quale si fa ancora riferimento alla Legge 66 del 1996, una norma ormai obsoleta, essendo la violenza sessuale l’unico reato penale che fa pesare sulla vittima l’onere probatorio. Le norme hanno un’evoluzione interpretativa che è sia convenzionale, cioè per la Convenzione di Istanbul, che giurisprudenziale, ossia per le sentenze che sono state emesse; purtroppo non sempre questa evoluzione viene applicata.
Qual è il contesto culturale italiano in fatto di violenza di genere e quanto incide sul suo contrasto?
La normativa sulla violenza sessuale spiega benissimo quale sia il nostro stato culturale, tenuto conto che prima del 1996 lo stupro era ancora un reato contro la moralità pubblica e non contro la persona. Come se non bastasse l’Italia viene anche condannata dalla Corte europea per i diritti umani per sentenze sessiste. Una ricerca importante realizzata da Differenza Donna insieme all’Università della Tuscia e a La Sapienza, ha analizzato molte sentenze in ambito di reati di genere: quello che è emerso è che nelle motivazioni ritroviamo sempre una premessa rispetto alla credibilità delle donne, come se dovessero meritarsi giustizia a seguito di un reato di maltrattamento, stupro, stalking.
Cosa ha modificato l’introduzione del Codice Rosso?
Il Codice Rosso ha interpretato i sistemi di protezione: invece di lasciare ai giudici la valutazione dei tempi di risposta, di intervento, di emanazione, ha dato un carattere di urgenza ai sistemi di protezione, che sono la risposta a un bisogno. Purtroppo siamo consapevoli che il Codice Rosso, e oggi il Codice Rosso rafforzato, non possono essere applicati realmente se non si aumenta il numero dei dipendenti delle forze dell’ordine e della magistratura, che sono svuotati di personale. Siamo contente che ci sia una declinazione normativa specifica sui sistemi di protezione, ma se poi non è sostenibile diventa un vero inganno per le donne. Invece avere un sistema di protezione che funziona significa bloccare chi può essere pericoloso, perché le donne che escono da situazioni di gravi violenze, siano essi maltrattamenti, stalking, violenza sessuale, devono recuperare il loro punto di vista su quello che hanno vissuto. Anche per questo l’idea della giustizia sulla repentinità dell’audizione della vittima associata alla sua credibilità è una cosa che non corrisponde al vero.
Come si aiutano le donne che chiedono aiuto?
Dobbiamo pensare in quali condizioni si trova la donna e mettere in atto dei sistemi di protezione adeguati. Noi possiamo accogliere immediatamente una donna in una casa rifugio, ma anche su questo dobbiamo ricordare che l’Italia ha una copertura di posti letto in casa rifugio pari al 5% dei parametri europei che prevedono un posto ogni diecimila abitanti. Nell’ultima Legge Finanziaria la ministra Roccella ha inserito un importante aumento di fondi dedicati ai centri antiviolenza e alle case rifugio, e speriamo che si rispettino i requisiti minimi della conferenza Stato-Regioni su chi sono le organizzazioni che possono realmente gestire questi luoghi.
Quali caratteristiche deve avere una casa rifugio?
Le case rifugio sono luoghi che garantiscono alla donna di stare al centro del suo sistema di protezione, sostenuta dalle forze dell’ordine e dai servizi sociali nel reinserimento sociale come soggetto liberato. C’è un percorso di rielaborazione della storia della violenza vissuta, della consapevolezza di essere un soggetto di diritto. La cosa più importante è bloccare gli uomini pericolosi e non fare pressione sulle donne sin dal primo giorno rispetto a quello che devono raccontare. La casa rifugio serve non solo a non essere ammazzate, ma ad uscire dal proprio ambiente per rielaborare il progetto della propria vita. Ma la preziosità di questa fase c’è solo se ad accogliere la donna ci sono organizzazioni che hanno dei requisiti e delle competenze specifiche.
Gli ultimi dati del numero gratuito 1522 ci dicono che l’emersione dei casi della violenza maschile contro le donne è in aumento: che tipo di telefonate si ricevono e come si procede?
Per la prima volta notiamo un aumento di emersione della violenza maschile contro le donne: sono vent’anni che assistiamo a un 10% di emerso, mentre il 90% resta sommerso. Nel 2022 ci hanno contattato 33mila persone, quasi tutte donne; nel 2023 sono state 51mila. E nel 2024 avremo un ulteriore aumento perché nel primo semestre siamo già arrivati a 34mila. Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin hanno cominciato a chiamarci molti genitori preoccupati per le proprie figlie, che hanno ascoltato gli audio di Giulia diffusi in rete, nei quali si percepiva il continuo senso di stress a cui ti sottopone la persecuzione violenta di un ex partner. Molte mamme e papà hanno riconosciuto quei messaggi come segnali e hanno chiesto aiuto. Anche i gruppi di amici, che prima restavano in silenzio, oggi hanno capito che devono parlare. È un cambio di passo importante, e proprio per questo non può essere deluso dall’intervento istituzionale.
(Fonte 50&Più rivista)
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