In Friuli delle anziane condividono la quotidianità, mantenendo i legami con le loro radici. Un concetto che va oltre la “casa di riposo”
Ripensare alla terza età in chiave innovativa, attraverso un progetto di silver co-housing gestito da enti di terzo settore in collaborazione con la Sanità regionale e i Servizi Sociali: arriva dalla provincia di Udine un nuovo modo di abitare destinato a tracciare una strada per il futuro.
Il progetto parte dalla rilevazione di un gap: «La Regione Friuli ha costatato che la normativa, in materia di welfare e terza età, contemplava soltanto due estremi ben precisi. Da una parte il modello delle Rsa, dall’altro il servizio domiciliare. Un servizio, quest’ultimo, fortemente limitato, che non riusciva ad accontentare le richieste delle famiglie», spiega Enrichetta Zanò, presidente dell’associazione Cjase Me. C’era bisogno di altro, un qualcosa che non avesse le normative molto rigide che caratterizzano oggi le case di riposo, e neppure la precarietà legata al tariffario orario, prerogativa troppo spesso del servizio domiciliare. Bisognava dare una risposta diversa a quell’anziano che non voleva stare a casa da solo, ma neppure entrare in un contesto come quello delle Residenze Sanitarie Assistenziali.
Ed è da qui, da questa rilevazione di bisogni, che la Regione ha dato il via libera ad una serie di progetti innovativi sperimentali. Nasce così il concetto di “domiciliarità innovativa”: le realtà del terzo settore e le associazioni di promozione sociale hanno il semaforo verde per poter sperimentare delle azioni che non siano le classiche già presenti sul territorio.
Il progetto nasce dall’incrocio di due realtà che si occupano professionalmente di altrettante aree di servizi affini: la cooperativa sociale Itaca, specializzata nella gestione di case di riposo e servizi domiciliari per anziani, e la cooperativa Vicini di casa, che si occupa di favorire e facilitare l’accesso alla casa da parte dei cittadini italiani e stranieri.
Promozione della socialità e di forme di cooperazione tra persone anziane che scelgono di vivere insieme: queste le linee guida che muovono tutto. Si cercano risposte a nuovi bisogni e fragilità attraverso progettualità rivolte all’invecchiamento attivo.
Il luogo prescelto è Pozzuolo, in Friuli, in particolare la frazione di Terenzano.
Viene acquistata una piccola casa di riposo, che stava attraversando un periodo di difficile gestione economica. Una struttura piccola, con dieci posti tra camere singole e doppie. È perfetta per l’idea di domiciliarità innovativa che si vuole mettere in atto.
Ecco poi una serie di passaggi tecnici. La Cooperativa Itaca rileva fisicamente la casa, viene creata l’associazione Cjase Me, all’interno della quale confluiscono esperti del settore, le persone accolte nella casa ed i loro familiari.
Quando enunciamo questo nome per la prima volta, Enrichetta Zanò sorride dicendo: «Per chi non è friuliano sembra una parola impossibile da pronunciare, ma in realtà è il nostro modo per dire “casa mia”, e non poteva esserci nome più adatto per definire questo progetto».
Nasce una gestione reticolare del progetto. L’associazione si occupa di gestire la parte assistenziale: assume le assistenti familiari, curando anche la parte burocratica che spesso è molto ostica per le famiglie, e poi acquista dei servizi specializzati, come la figura dell’Oss (Operatore Socio Sanitario), un’infermiera e un coordinatore, che ha in mano la rendicontazione e deve quindi tenere le fila di tutta la parte finanziaria del progetto. Tutto nel segno della massima trasparenza.
Il primo presidente dell’associazione è Antonella Nomino, a cui sopraggiunge, pochi mesi fa, Enrichetta Zanò. L’associazione è attiva dal 2019.
«L’anziano è al centro di tutto, in Cjase Me ritrova un po’ la quotidianità familiare senza perdere la socialità, e mantiene salde le radici nel territorio, come se fosse ancora a casa propria», spiega la referente del progetto.
PRIMA DI TUTTO… UNA CASA
La casa oggi è tutta al femminile, vi risiedono infatti 9 donne, la più giovane ha 85 anni, la più anziana 100. Ma le quote rosa non sono una prerogativa: «C’è stato un periodo in cui c’erano anche due uomini e, seppur all’inizio ci fosse un po’ di scetticismo, in realtà la convivenza è andata benissimo. Sicuramente da replicare», afferma la Zanò. Già, perché tra i punti di forza di questo progetto c’è la versatilità: ci sono persone che decidono di vivere qui in pianta stabile, ma c’è anche la possibilità di fare soltanto alcuni periodi, magari successivi ad una ospedalizzazione.
Dall’esterno, a vederla, la struttura dell’edificio è quella di una tipica abitazione friulana: una casa a due piani con giardino, ristrutturata in base alle esigenze delle ospiti e per favorire le attività in comune, anche con i familiari.
«Non abbiamo un protocollo rigido come, ad esempio, si trova nelle Rsa – spiega la presidente -, i familiari delle nostre assistite possono venire in qualsiasi momento della giornata, per trascorrere del tempo con i loro cari ma anche con le altre donne che vivono qui. I familiari, del resto, sono parte attiva dell’associazione. È una casa aperta a tutti, ai nipoti che vogliono venire a dare un abbraccio alla nonna usciti da scuola, ai figli che vengono a sincerarsi delle condizioni dei loro genitori, ma anche a persone che vengono per portare le loro esperienze e pronte ad ascoltare le storie che queste anziane hanno da raccontare».
UNA GESTIONE CONDIVISA
La mattina ci si alza quando si vuole, non c’è una sveglia che suona per tutti, ognuno ha i propri orari. Si può scegliere se scendere a fare colazione, oppure rimanere al piano di sopra, come fa Giovanna, la centenaria di Cjase Me. I pasti si preparano assieme, così come assieme si cura il giardino. La gestione quotidiana della casa, infatti, è a cura delle residenti, aiutate dagli assistenti familiari assunti dall’Aps (Associazione di Promozione Sociale), l’ente locale di terzo settore che si occupa del progetto.
«Il menù del giorno viene scelto insieme, sempre sotto la supervisione e il consenso dei medici, perché facciamo seguire un’alimentazione sana e controllata – precisa la referente -. I ritmi della giornata sono quelli di un gruppo di persone che vivono insieme, rispetto alle case di riposo ci sono meno vincoli di orario. Ogni giorno vengono proposte varie attività o da parte degli animatori socio-culturali o dagli assistenti familiari. È preziosa per noi anche la presenza dei volontari, che vengono a passare del tempo con le nostre assistite, proponendo ogni volta attività diverse. Ovviamente c’è una progettualità alle spalle, e proponiamo varie attività per mantenere le abilità residue, come la tombola o la lettura del giornale, ma ognuno può fare quello che vuole, non c’è alcun obbligo».
LA STANZA
In Cjase Me ci sono camere singole e camere doppie, ognuno arreda la sua parte come vuole. La disposizione degli oggetti, infatti, è personalizzata da chi le abita, e molti arredi provengono dalle precedenti abitazioni. «Il concetto di casa è qualcosa di importante, ma qui abbiamo anche il valore del gruppo, la condivisione di vita in tutti i momenti, la possibilità di raccontarsi a vicenda – spiega Enrichetta Zanò -. Durante la notte è garantita la presenza di un assistente familiare». Si tratta di un tipo di welfare di comunità reso possibile quando non c’è bisogno di alta intensità di cura.
UN NUOVO WELFARE
Ma è possibile, dunque, superare il concetto di “casa di riposo”? La presidente di Cjase Me risponde senza esitare: «È possibile farlo nel momento in cui la normativa lo concede. Ma dipende anche dai singoli casi, ci sono degli anziani che, pur non avendo delle forti disabilità, non possono stare a casa da soli. Per i figli diventa una sofferenza, visto che lavorano sempre di più. In questo caso, un progetto come il nostro rappresenta un’ottima soluzione. La pandemia ci ha frenato molto in questi anni, ma adesso abbiamo intenzione di dare uno sviluppo più ampio a questo progetto, coinvolgendo più persone. Si tratta di un’idea facilmente replicabile, che può essere proposta in territori diversi dal nostro, a patto che ci sia un accordo con le istituzioni di riferimento».
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