Nel 2015 il Regno Unito era la quinta economia del mondo, nel 2023 ha perso una posizione, ma l’inflazione cresce. I cittadini pentiti della Brexit? Ecco cosa dicono gli ultimi studi
Secondo Goldman Sachs è stato proprio il referendum del 2016, poi formalizzato nel 2020 con l’uscita dall’Ue, il punto di svolta in negativo che ha portato ad una crescita più bassa e ad un’inflazione più alta.
I numeri
Dai dati elaborati da Bloomberg emerge che il Pil è cresciuto del 6% dal 2016 ad oggi, rispetto al 24% dell’Unione Europea, mentre nei dieci anni precedenti il Regno Unito aveva guadagnato il 12% in più del prodotto interno lordo europeo.
Le cause sarebbero da ricercare nelle nuove barriere sulle merci e nella parziale perdita di Londra del suo ruolo centrale nell’economia europea: alcune banche che lì avevano la sede centrale hanno spostato le attività a Dublino, Parigi, Amsterdam e Francoforte per poter operare liberamente sul territorio dell’Unione.
Cittadini pentiti della Brexit: più poveri e pentiti
Nonostante le aspettative pre-referendum, il carico fiscale per i cittadini britannici è aumentato, e oggi ha raggiunto il 37,1%, il 4% in più del 2016. I prezzi dei beni primari sono cresciuti fino al 30%, il potere d’acquisto è diminuito di quasi duemila sterline all’anno sul reddito medio. Il mercato del lavoro ha perso 1,8 milioni di posti. Gli unici ad averci guadagnato solo i redditi altissimi perché il Regno Unito non applica più la normativa europea che imponeva un tetto ai bonus dei dirigenti di banche e società di investimento.
Il National Institute of Economic and Social Research Nieser ha stimato che gli impatti della Brexit su commercio e produttività si faranno sentire fino al 2025, quando il mercato del lavoro avrà perso altri 1,2 milioni di posti, con una decrescita del 10,1%.
L’ultimo sondaggio di YouGov del 27 marzo scorso ha registrato che più della metà della popolazione, il 55%, se potesse, tornerebbe indietro e non voterebbe più per la Brexit, tanto da far parlare di “Bregret”, pentimento da Brexit.
Le origini della Brexit
A chiedere l’uscita dall’Unione Europea fin dal 1993 erano stati gli indipendentisti dell’Ukip, che nel 2014 diventano il primo partito e che da allora improntano la loro politica sulla Brexit e sui possibili vantaggi con la fine dei versamenti al bilancio Ue, un maggiore controllo delle frontiere, meno vincoli alle alleanze commerciali e meno tasse per tutti.
I costi di oggi
Oggi che il contributo all’Europa è scomparso, Londra non è diventata più ricca. Innanzitutto deve saldare il debito pregresso con Bruxelles, perché all’approvazione del bilancio comunitario, come ogni altro Stato membro, si era impegnata a versare fondi ricevendo in cambio di aiuti, altri fondi e progetti di ricerca. Secondo l’Obr, l’ente di controllo sul bilancio statale, il debito era di 32,8 miliardi di sterline e quest’anno ne resta ancora da pagare la metà.
Inoltre, il ripristino di frontiere, dogane, e organismi di controllo ha aumentato la spesa pubblica e l’impiego di personale di oltre 100 mila unità, e al contempo il Regno Unito ha perso l’accesso al mercato unico da 450 milioni di consumatori europei, non compensato dagli accordi commerciali con i Paesi del Commonwealth.
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