Serve un modo diverso di concepire i grandi centri; ripensare il sistema dei trasporti, creare spazi verdi e servizi. Soprattutto nei confronti delle donne e delle nuove generazioni.
Le previsioni che, all’inizio della pandemia, annunciavano il declino delle città a favore di centri abitati più piccoli si sono rivelate errate. Da qualche mese, le strade dei centri cittadini hanno iniziato a riempirsi di nuovo, gli studenti e molti lavoratori sono tornati in presenza e, grazie a vaccini e Green Pass, locali, cinema e teatri funzionano a pieno regime.
Ma il modo in cui abbiamo abitato le città e modificato il nostro stile di vita durante la pandemia ci offre una prospettiva privilegiata per ripensare il paesaggio urbano. I cambiamenti che hanno avuto luogo durante il lockdown, dalla pedonalizzazione delle strade alle nuove piste ciclabili al lavoro da casa, possono essere il punto di partenza per una nuova visione del vivere urbano.
Il sindaco Roberto Gualtieri, nella sua prima dichiarazione pubblica subito dopo l’elezione, ha affermato di voler trasformare Roma in una “città dei 15 minuti”. Il concetto alla base è che si possa migliorare di molto la qualità della vita dei cittadini, se tutto ciò di cui necessitano si trova entro un raggio di un quarto d’ora a piedi in bici da casa. Dal lavoro ai servizi essenziali, ma con un’enfasi anche sulla bellezza, sugli spazi verdi, sulle attività culturali, per consentire così di avere un rapporto più diretto con il luogo in cui si abita e sviluppare un maggiore senso di comunità.
L’idea è stata resa popolare dalla sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, che fin dal 2014 ha ampliato l’accesso alle rive della Senna per pedoni e ciclisti e ha creato più di 40 oasi verdi in aree diverse. Dall’inizio della pandemia ha aggiunto oltre 50 km di piste ciclabili e promesso un miliardo di euro per la manutenzione e il miglioramento degli spazi comuni, piazze, parchi e strade.
La città dei 15 minuti ha altri vantaggi. La giornalista inglese Caroline Criado-Perez ha dimostrato nel suo libro Invisibili che le città come le conosciamo oggi sono state progettate senza avere in mente i bisogni delle donne. Prima di tutto i quartieri a funzione unica – le zone adibite principalmente a uffici, allo shopping, o i quartieri dormitorio – sono meno sicuri, perché la circolazione delle persone, soprattutto a certi orari del giorno e della sera, è molto ridotta. Al contrario: avere servizi, scuole, supermercati a distanze pedonali si adatta meglio alle necessità (e garantisce meglio la sicurezza) di molte donne. Numerosi studi hanno mostrato che sono gli uomini a usare preferibilmente l’automobile, mentre le donne tendono a muoversi a piedi e a fare viaggi più brevi. La ragione è semplice: le donne hanno di solito responsabilità più complesse e articolate rispetto agli uomini, sono la maggioranza di coloro che portano i figli a scuola, accompagnano un parente malato dal dottore, vanno a fare la spesa. Gli uomini, al contrario, fanno spostamenti più lineari, solitamente tra casa e lavoro.
Ma il problema non è costituito solo dalle auto. In molte delle maggiori città europee, i mezzi pubblici si muovono spesso dai quartieri residenziali verso il centro (e viceversa, ovviamente), privilegiando i tragitti tra casa e lavoro, ma svantaggiando chi ha necessità diverse. Spesso queste carenze sono dovute alla poca comprensione delle questioni di genere (cioè quelle attinenti alle relazioni di potere fra maschile e femminile) nella pianificazione urbana: le amministrazioni locali non sempre tengono conto di quanto le necessità delle donne, per ragioni anche culturali, divergano da quelle degli uomini.
Vienna è un esempio virtuoso di come le cose possano andare diversamente. Dagli anni Novanta l’amministrazione comunale ha iniziato a raccogliere dati sulle esperienze delle donne in città, per assicurare che le loro esigenze fossero adeguatamente considerate nell’allocazione di risorse finanziarie, nella progettazione e nella regolamentazione degli spazi urbani.
Gli amministratori viennesi hanno allargato i marciapiedi per offrire più spazio a passeggini e sedie a rotelle (il tema della disabilità è un’altra questione cruciale per la città del futuro), progettato case popolari mettendo al centro i bisogni delle famiglie, aumentato l’illuminazione in zone percepite come poco sicure in particolare per le donne. Ma l’esperimento più sorprendente di tutti ha a che fare con i parchi pubblici. Attraverso la raccolta di dati di genere è emerso che, dopo i nove anni, le bambine tendevano a frequentare le aree verdi molto meno della loro controparte maschile. Gli spazi sportivi dei parchi viennesi erano adibiti in gran parte ad attività prevalentemente maschili: campi da basket, spazi per l’allenamento. Per portare le ragazze a frequentare i parchi pubblici è stato necessario creare campi di pallavolo e badminton, aggiungere panchine che incoraggiassero la socialità, ancora una volta migliorare qualità e quantità dell’illuminazione.
L’idea di città che viene fuori da questi esperimenti offre spunti per una nuova interpretazione della politica. Più ottimistica e meno legata agli steccati ideologici; più capace di cogliere i bisogni delle comunità, delle donne, dei fragili e, soprattutto, delle generazioni future.
Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) ha scritto racconti, romanzi e saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Il suo romanzo più recente è La disciplina di Penelope.
Giorgia Carofiglio (Monopoli, 1995) si è laureata in Teoria Politica presso la University College London. Ha lavorato in un’agenzia letteraria e collabora con case editrici.
© Riproduzione riservata