«Per avere giustizia dobbiamo andare in ginocchio da Don Corleone», dice un Amerigo Bonasera non più fiducioso nella legge e nell’ordine americano, dopo che i due ragazzi incensurati che avevano aggredito, malmenato e tentato di violentare sua figlia erano stati rimessi in libertà con la condizionale dal giudice. Ma solo quando chiama il vecchio amico, da tempo dimenticato per le sue attività malavitose, con l’appellativo deferente “padrino” e chiede il suo aiuto – e non l’uccisione a pagamento dei due colpevoli, come in un primo momento – ottiene che il gangster lo assecondi. E faccia ridurre in “braciole” i due mascalzoni.
Il Padrino: dal romanzo alla pellicola cult
Inizia così il romanzo Il Padrino, che, uscito nel 1969 e tradotto in mezzo mondo, raggiunse la cima delle classifiche di vendita. Raccontava a milioni di lettori, infatti, cosa fosse e come si comportasse la mafia importata negli Stati Uniti dagli immigrati siciliani. La descriveva con penna rapida e senza fronzoli Mario Puzo, settimo figlio di un ferroviere campano. Fu un successo internazionale, che però non impedì allo scrittore di essere assediato dagli strozzini per i suoi enormi debiti di gioco, costringendolo a vendere alla Paramount i diritti per la sua riduzione cinematografica a oltre 50 mila dollari (circa un milione odierno). Il film fece la fortuna definitiva dell’opera, diventando più celebre del libro e incassando oltre un miliardo di dollari al cambio attuale.
Francis Ford Coppola, Marlon Brando e Al Pacino: un team stellare per Il Padrino
Il Padrino cinematografico, interpretato da Marlon Brando con il viso deformato dal cotone tenuto in bocca per dilatare le gote e la voce ridotta a un filo (come quella del boss “autentico” Frank Costello), taglia il nastro del mezzo secolo di storia e rimane una pellicola magnifica, grazie anche al recente restauro. Non solo per la memorabile interpretazione di Brando, anche per la qualità assoluta del film e per la sceneggiatura firmata dal regista Francis Ford Coppola. Lo stesso Coppola che aveva accettato l’incarico solo per motivi squisitamente economici, ma dichiarò di aver imparato il mestiere proprio grazie a quelle riprese. Un merito, tuttavia, senz’altro anche di Puzo: il giudizio della Academy, composta da circa 6000 personaggi impegnati nel mondo dello spettacolo, lo premiò infatti con tre Oscar su dieci nomination ottenute.
Gli Oscar a Il Padrino: una cerimonia di premiazione memorabile
La cerimonia di premiazione del 1973 rimase famosa per l’assenza di Brando. Al suo posto mandò l’attrice apache e attivista per i diritti dei nativi Piccola Piuma per ritirare la statuetta con un lungo messaggio che le fu fatto leggere solo in piccola parte. E poi la protesta di Al Pacino che, pur apparendo in molte più scene del collega, era stato nominato nella categoria “attore non protagonista”. Ma anche per l’esclusione di Nino Rota, il grande musicista collaboratore di Federico Fellini, dal premio per il miglior soundtrack, perché aveva riutilizzato un brano da una sua precedente colonna sonora italiana.
I sequel e gli attori consacrati alla storia
Pietra miliare della storia del cinema, insieme alla Parte 2 del 1974 (meno riuscita la terza del 1990, priva di spunti dal romanzo, e bloccata nel 1999 la quarta dalla morte di Puzo, che aveva mantenuto contrattualmente obbligatoria la propria partecipazione alla sceneggiatura), Il Padrino determinò una sorta di “rifondazione” di Hollywood, primo di una serie di film-evento. E lanciò una serie di attori ancora sconosciuti o quasi: oltre a Pacino, James Caan, che ci ha lasciato il 7 luglio scorso, John Cazale, Robert Duvall, Talia Shire, la sorella di Coppola, e una Diane Keaton pre-operazione al naso.
La “morale” della vita malavitosa
Soprattutto quelle quasi tre ore ci mostrano una perfetta ricostruzione di una “morale” del crimine. La “giustizia” di Don Corleone sembra migliore di quella dei tutori della legge, ma richiede sempre un prezzo e la sua organizzazione patriarcale. Questo senza che la parola mafia compaia mai nel film: merito, si fa per dire, di Joseph Colombo, boss di una delle cinque famiglie più potenti di New York, che convinse il produttore Albert Ruddy a effettuare questa e altre scelte, facendo sparare una raffica di mitra contro la sua auto. I mafiosi de Il Padrino non sono un branco di mostri immorali al di fuori della società. Bensì ne fanno parte a pieno titolo, credono nell’amicizia, nella famiglia e nell’onore, e sono in stretto contatto con i rappresentanti della élite politica: senza il loro scudo la mafia sarebbe condannata.
La storia raccontata non è vita vera
Tra brutali efferatezze e folklore di maniera, l’ambiguità dell’organizzazione criminale, tratteggiata da Puzo rifacendosi a fatti veri e ad aneddoti raccolti durante il suo periodo di giornalista scandalistico, emerge completamente diversa da come veniva narrata in precedenza. E anche da come i corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano ne stavano conquistando i vertici in Italia, a suon di attentati iniziati con la strage di viale Lazio a Palermo del 1969 e l’assassinio del giornalista Mauro Di Mauro l’anno successivo.
Dal successo anche un decalogo utile per il management
Tanto diretta e acuta da permettere all’americano Brian Halligan di trarne 10 insegnamenti su “come influenzare le persone a portare a termine le cose”. Consigli utili per un management efficiente e anche per molte scelte della nostra quotidianità. Ecco il decalogo “positivo”, spogliato dalla paura e la violenza con cui lo gestiva, del modus operandi di Don Vito Corleone. 1) Adattare i comportamenti ai propri interlocutori;
2) Ascoltare attentamente e parlare poco;
3) Prendere decisioni e delegare in maniera efficiente;
4) Farsi riportare subito le cattive notizie;
5) Non adottare scelte emotivamente;
6) Prestare un’attenzione paranoica ai dettagli;
7) Mantenere sempre la parola data;
8) Valutare in anticipo le conseguenze delle proprie azioni;
9) Ottenere un ritorno dai favori elargiti; 10) Avere una conoscenza completa dei fatti.
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