Trentatré anni di mistero, depistaggi, processi e false testimonianze. Tanti i protagonisti di una vicenda mai chiarita. Cosa è avvenuto negli uffici dell’AIAG il 7 agosto del 1990? È Raffaella Fanelli, giornalista e scrittrice a mettere in fila i fatti e a raccontare “Il nome dell’assassino è scritto nel DNA”
Sono trascorsi trentatré anni da quando il corpo di Simonetta Cesaroni, martoriato di coltellate, è stato rinvenuto negli uffici dell’AIAG – Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù – di Roma. Era il 7 agosto del 1990. Quell’omicidio, ancora oggi irrisolto, passerà alla storia come il “delitto di via Poma”. A quel tempo, una giovane Raffaella Fanelli si avviava alla professione di giornalista scavando tra documenti e carte processuali. A lei si deve l’unica intervista mai realizzata a Francesco Caracciolo di Sarno, l’avvocato romano presidente dell’AIAG, figura chiave nella vicenda che – a distanza di tanti anni – conserva ancora contorni oscuri. Dopo quella chiacchierata l’uomo viene chiamato a processo per la prima volta nella storia. Fanelli – già collaboratrice, tra gli altri di La Repubblica, Corriere della Sera, Oggi, Quarto grado e Chi l’ha visto? – mette in fila date, fatti, nomi e fornisce un quadro complessivo sugli eventi di quell’estate del ‘90. Lo fa nelle pagine del libro Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni?, edito da ‘Ponte alle grazie’. L’abbiamo incontrata.
Perché un libro sul delitto di via Poma?
Conoscevo molto bene la famiglia di Pietro Vanacore, il portiere dello stabile di via Poma. Entrambi siamo originari di Torricella, in provincia di Taranto. E lo avevo intervistato, avevo sentito i suoi figli, per loro Pietrino era stato aiutato a morire.
Si è occupata fin da subito della vicenda?
Sì, all’epoca ero giornalista praticante e ho iniziato a seguire le udienze di Raniero Busco, fidanzato di Simonetta Cesaroni, processato vent’anni dopo l’omicidio perché il suo DNA è stato trovato sul reggiseno della giovane, ma i periti della Procura dimenticarono di dire che su quel reggiseno c’erano altri due DNA maschili. Le menzogne, i depistaggi e le omissioni però, in questa vicenda, sono tanti. Basti pensare che i dipendenti dell’AIAG hanno dichiarato di non aver mai conosciuto Simonetta, eppure andava di pomeriggio in quegli uffici, quando molti di loro avevano il rientro. Anche l’avvocato Caracciolo di Sarno aveva dichiarato di non aver mai conosciuto Simonetta, invece.
Lui, come altri, è un attore della vicenda ma nessuno lo aveva sentito fino a che lei – unica tra magistrati e giornalisti – lo rintraccia e lo intervista.
Esattamente. Addirittura, si credeva fosse morto. Già all’epoca lavoravo per il settimanale Oggi, l’ho scovato e l’ho intervistato, registrando interamente l’incontro. Fu una chiacchierata molto burrascosa, mi propose di scrivere che era morto ma soprattutto ammise di conoscere Simonetta – non era mai successo prima – e che aveva un amico nei servizi segreti. Dopo la pubblicazione del mio pezzo, lui venne chiamato a deporre. Oltretutto, la sera del 7 agosto, quando l’omicidio era stato compiuto ma non ancora ufficializzato, dagli uffici di via Poma sono partite due telefonate a Mario Macinati, il fattore di Caracciolo. Negli anni, poi, l’alibi di Caracciolo si è rivelato falso.
Vanacore, portiere dello stabile di via Poma, è stato trovato morto il 7 marzo del 2010. Omicidio o suicidio?
Risulta difficile pensare che un uomo possa annegare in 50 centimetri di acqua. La sua protesi dentaria, tra l’altro, è stata ritrovata sulla spiaggia e dai risultati dall’autopsia, che ho potuto leggere, non risulta avesse ingerito qualcosa. Per la famiglia l’uomo è stato ‘aiutato a morire’. Tre giorni più tardi avrebbe dovuto testimoniare al processo contro Raniero Busco che lui sapeva essere innocente. È chiaro, però, che Pietrino qualcosa sapesse.
Tra gli indizi trascurati, una traccia di sangue. Cosa significa?
Significa che nel DNA di quella macchia di sangue c’è il nome dell’assassino perché è molto vicina al sangue di Simonetta. L’inchiesta sull’omicidio è stata riaperta grazie a questa traccia. Si deve, ora, capire a chi appartiene. All’epoca altre tracce di sangue furono trovate sulla scena, e da quelle trovate sul telefono non è stato estrapolato il DNA.
Come commenta questi trent’anni di indagini?
Le indagini sono state condotte malissimo. Rinviare a giudizio Busco dopo vent’anni è stato un delirio. Non c’erano prove contro di lui e tante a sua discolpa sono state ignorate. Sull’avvocato Caracciolo Di Sarno nessuno ha mai indagato. Tra le anomalie anche questa: il primo ad arrivare in quegli uffici fu Sergio Costa, ex genero di Vincenzo Parisi – ex capo della polizia, ex vicedirettore del Sisde – lo ha detto lui stesso ascoltato dagli inquirenti. Ma in tutti i verbali redatti dalle varie volanti quel nome non viene scritto, salta fuori anni dopo.
Cosa c’entra Roland Voller?
Voller – che si è poi scoperto essere un informatore dei servizi – entra in scena poche settimane dopo la diffusione di un’informativa della Digos su Caracciolo, tra queste pagine l’avvocato del foro romano viene citato come una persona di dubbia moralità che infastidiva le ragazze.
Poliziotti maldestri? Strategie? Che cosa è successo nell’appartamento di via Poma quando è stato scoperto il corpo di Simonetta Cesaroni?
Di tutto. Un poliziotto ha estratto dalla borsa di Cesaroni un foglio di carta e su questo ha scritto un numero di telefono, un altro agente ha staccato la presa del computer. E ancora, un altro poliziotto ha cancellato tutti i messaggi dalla segreteria telefonica e un altro ha lasciato le impronte di scarpa sul pianerottolo. Non solo. È stato poi trovato un disegno sulla scena del crimine: su un foglio di carta è stata disegnata una margherita e in basso al disegno la scritta ‘dead ok’. Solo 18 anni dopo una poliziotta ha raccontato di essere stata l’autrice del disegno lasciato sulla scrivania dell’ufficio in cui Simonetta è stata uccisa, l’ufficio di Corrado Carboni, direttore dell’AIAG. Possibile che ci si metta a disegnare sulla scena del crimine? Questi errori madornali hanno condizionato le indagini .
Insieme alla sorella Paola, in quell’appartamento sono entrate altre persone quella sera. Chi?
Erano le 23.30 circa quando Paola è entrata negli uffici di via Poma accompagnata da Mario Vanacore (il figlio del portiere del palazzo ndr). Insieme a loro anche il datore di lavoro di Simonetta – Salvatore Volponi – che al buio e con le serrande abbassate ha urlato “Oddio, bastardo” correndo verso il pianerottolo. L’uomo non ha mai spiegato a chi si riferisse con queste parole che sono state raccontate da Mario Vanacore.
Per scovare un assassino si deve partire dal movente. In questo caso qual è?
Sicuramente non si è trattato di un femminicidio e sul suo corpo non sono state trovate tracce di violenza sessuale. Il movente è da trovare negli uffici dell’AIAG. Non si è mai cercato di capire cosa davvero si facesse in quelle stanze e se c’erano degli interessi istituzionali.
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