Buone notizie per le coppie durature: le persone sposate che rimangono unite nella gioia e nel dolore, come da contratto, hanno buone possibilità di conservare intatte le loro funzioni cognitive con l’avanzare dell’età. Il destino dei single, soprattutto se vivono male la loro solitudine, è meno roseo: le probabilità di soffrire di demenza sono quasi doppie rispetto ai coetanei che hanno mantenuto l’anello al dito. I benefici della vita a due sulla salute del cervello sono emersi da uno studio condotto dai ricercatori della Stockholm University e del Karolinska Institutet di Stoccolma pubblicato sull’American Journal of Geriatric Psychiatry.
Gli scienziati sono giunti a tale conclusione dopo aver monitorato, per una decina di anni, più di 4.000 uomini e donne over 60. I dati dimostrano che il rischio di demenza è del 40% più elevato tra i single rispetto alle coppie sposate.
Gli scienziati hanno anche trovato un’associazione tra la depressione e il declino cognitivo. Ma questo legame curiosamente non è sempre vero: chi ha l’umore a terra ha maggiori probabilità di soffrire di demenza solamente se vive da solo; se ha un partner accanto, invece, la tristezza non incide sulle performance del cervello. I benefici del matrimonio cioè compensano gli effetti nocivi della depressione.
A nessuno verrà in mente di incoraggiare il matrimonio per prevenire la demenza. Gli esperti di salute pubblica dovranno piuttosto interrogarsi sulle ragioni per cui le funzioni mentali dei single o delle coppie possono avere destini tanto diversi.
Perché, insomma, la vita a due fa tanto bene al cervello? Le ipotesi sono varie: le coppie hanno generalmente una vita sociale più intensa e soggetta a maggiori stimoli che mantengono attivo il cervello. Da tempo è noto, infatti, che la frequentazione continua di amici o parenti aiuti a prevenire il deterioramento delle funzioni cognitive.
Marito e moglie possono, poi, incoraggiarsi a vicenda nel seguire uno stile di vita sano, basato su un’alimentazione corretta e una giusta dose di attività fisica. Con il sostegno di un partner è più facile rinunciare alle cattive abitudini, come smettere di bere o di fumare, per esempio. Così si riduce il rischio di infiammazioni che, come è stato dimostrato in molti studi, sono associate all’insorgere della demenza.
Anche i controlli medici sono più frequenti quando si vive in due: se insorge un disturbo in uno dei partner, l’altro solitamente lo invita a prendere un appuntamento dallo specialista e il più delle volte lo accompagna. Inoltre, non va sottovalutato il beneficio finanziario della vita di coppia: (se hanno fortuna) i due coniugi possono contare su due pensioni e la sicurezza economica va anch’essa a vantaggio della salute.
C’è però anche un’ultima ipotesi che non dovrebbe essere scartata e che metterebbe in discussione tutto questo ragionamento: potrebbe darsi che le défaillance cognitive di un coniuge vengano compensate dall’altro e che il disturbo venga, cioè, gestito in casa senza ricorrere al medico, sfuggendo così alle statistiche epidemiologiche.
Potrebbe darsi quindi che la diffusione della demenza tra le coppie sposate sia sottostimata.
In questo studio, questa possibilità non viene contemplata e il messaggio degli autori è inequivocabile: il matrimonio fa bene alla salute del cervello.
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