Marjatta Ahonen ha 71 anni, un’appagante carriera da psicoterapeuta alle spalle e un’altrettanto appassionante occupazione da pensionata: la nonna condivisa.
Non è l’unica ad avere intrapreso questa curiosa attività. In Finlandia sono già 830 i cosiddetti nonni comunali, volontari dai capelli bianchi che dedicano il loro tempo libero ai bambini del quartiere, svolgendo attività nelle scuole, nelle librerie, nei parchi giochi, ecc.
L’iniziativa, lanciata nel 2006 dalla principale organizzazione finlandese a sostegno dell’infanzia e delle famiglie, la Mannerheim League for Child Welfare (MLL), si è rivelata un grande successo.
E non è difficile capire come mai. Due esigenze finalmente si incontrano: il desiderio di avere un nuovo progetto di vita per le persone in pensione e la necessità per i bambini senza nonni o con i nonni lontani di stabilire un legame d’affetto con chi ha tante cose da insegnare e tanto affetto da dare.
Il mercoledì nella scuola materna Tammi di Helsinki c’è grande fermento, i bambini aspettano con trepidazione l’arrivo della loro “nonna”: lei sa farli divertire con giochi originali ed emozionare con storie coinvolgenti.
Anche l’insegnante è contenta di averla affianco: finalmente c’è qualcuno che può darle una mano nelle attività della classe, che può aiutarla a preparare il pranzo o a mettere a dormire quell’ingestibile esercito di pargoli turbolenti, magari raccontandogli una favola speciale che non hanno mai sentita prima. Insomma, l’arrivo della nonna condivisa fa felici tutti, grandi e piccoli. E fa felice la nonna stessa che per la prima volta dopo tanto tempo torna a sentirsi utile, se non addirittura indispensabile.
Il progetto finlandese si inserisce in un vero e proprio movimento nato nel Paese scandinavo con l’ambizioso scopo di ricucire le relazioni intergenerazionali, oramai sempre più interrotte. Traguardo raggiunto? Difficile dirlo adesso, bisognerà aspettare qualche anno per valutare l’impatto dei nonni di quartiere sulla crescita dei “nipoti in prestito”.
Quel che è certo, per ora, è che iniziative di questo tipo sono fondamentali per affrontare la principale sfida dei Paesi occidentali: l’invecchiamento della popolazione e la solitudine.
Basta un dato per riflettere su quanto sta accadendo: da un recente sondaggio condotto dalla società Ancestry su 2mila adulti americani è emerso che un terzo degli intervistati non conoscevano i nomi di tutti e quattro i loro nonni. E probabilmente ignoravano anche di avere degli omonimi tra i loro antenati.
Un albero genealogico troncato, fatto di relazioni interrotte tra parenti così prossimi, è destinato a dare pochi frutti e non porta arricchimento alla vita. Al contrario, stabilire legami significativi con i propri famigliari aiuta ad affrontare meglio le situazioni difficili.
Ci sono vari studi che lo dimostrano. Il più significativo, per la durata del periodo di osservazione, è il Kauai Longitudinal Study condotto nelle Hawaii. Negli anni Cinquanta un gruppo di scienziati ha cominciato a seguire circa 700 bambini monitorando la loro salute e la loro qualità di vita fino ai 40 anni. Le persone capaci di affrontare le avversità della vita senza lasciarsi travolgere erano quelle che da piccole avevano stabilito un legame stabile e significativo con almeno una persona della famiglia. E più spesso di quanto si possa pensare si trattava proprio di un nonno o di una nonna.
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