È uscito in agosto per Einaudi, “Questo immenso non sapere”. Un libro in cui la poetessa milanese fa dialogare cuore, alberi e animali.
Sessantanove anni, nata a Milano nel 1952, chi l’ha già letta, chi l’ha potuta ascoltare, ha ben in mente la sua voce bambina e ben conosce i passi con cui lei bambina sobbalza tra le pagine dei suoi libri. C’è tutta la maturità di una donna della sua età, che non ha affatto perso il contatto con la magia dell’infanzia, nei suoi scritti. C’è analisi, c’è calore, e poi distacco. Un movimento sinusoidale che si percepisce, dove l’io scrittore si collega e poi separa dall’io lettore. Il suo mettere in versi un respiro. Sale e scende, entra ed esce, resta, sempre, fino alla fine. Ritirata dalla mondanità del verbo, Chandra Livia Candiani è oggi una delle voci più potenti di questi tempi. Anche, soprattutto, per il valore che trova la parola nel silenzio.
L’autrice
Il nome Chandra, in sanscrito Luna, è quello che le diede il suo Maestro in India e dal 1986 ha deciso che avrebbe accompagnato la sua persona. Lei, di madre russa ma nata a Milano, è – così racconta – “cresciuta in una famiglia folle e aggressiva dove albergavano pazzia, alcolismo, violenza”. Ha studiato filosofia e incontrato il buddismo. A trent’anni, lascia Milano per andare in India a meditare. Alla morte del Maestro, dopo qualche anno, è rientrata a Milano. Ha tradotto testi buddisti, tenuto gruppi di yoga e meditazione, insegnato poesia ai bambini nelle scuole. E ora, in questa ultima uscita, racconta di una svolta, in parte dovuta alla pandemia e in parte alla scelta di seguire il compagno. Una vita ancora più indirizzata verso la contemplazione, nel bosco.
Le opere
Le sue Poesie mestruali sono raccolte nel 1978 nell’antologia Poesia femminista italiana di Laura Di Nola. Nel 1979, Antonio Porta la include nell’antologia Poesia degli Anni Settanta. Pubblica alcuni dei suoi primi volumi con l’editore Pulcinoelefante di Alberto Casiraghi, altro per le edizioni Aelia Laelia, Campanotto, Vivarium; successivamente con Viennepierre, Interlinea, Effigie e Salani. È nel 2014 che la scopre Einaudi e dà alle stampe La bambina pugile ovvero La precisione dell’amore; nel 2017 Fatti Vivo; l’anno seguente Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione e nel 2020 La domanda della sete. Nell’agosto di quest’anno viene pubblicato quest’ultimo volume Questo immenso non sapere. Non più nella Collezione di Poesia, ma le Vele, saggio breve di filosofia. Come si legge dal sottotitolo, appunto, “Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano”.
Questo immenso non sapere
L’arte di mettere in poesia la pratica della meditazione. Questo sa fare Chandra Candiani. “Un’alternanza di respiro-silenzio-parola-respiro che consenta agio nel disagio, dimora nella scomodità”. Se non sapete cosa sia la meditazione, nelle ultime pagine include un appendice molto utile in cui la guida in poche righe attraverso un breviario: “Le tue vuote mani inutili, posate in grembo in attesa del prossimo respiro”.
Ma il respiro di Chandra Candiani è in tutte le pagine prima. E lei non è un “immusonito cardiologo spirituale”. È ancora la bambina per cui “il buio è la quintessenza del bue”. E insieme la piccola capostazione di provincia il cui compito “è far partire puntuali i treni nella direzione giusta, con il loro carico di compassione, di gentilezza amorevole, di gioia e di equanimità”. Colei che appunto spiega buddismo e “dimore divine”. E soprattutto colei che vuole abitare il luogo del cuore. Poiché “Il cuore parla nel corpo con vibrazioni, soprassalti, laghi di quiete, silenzi montanari. (…) È un luogo tenero, vulnerabile, eppure contiene annotazioni a margine della nostra vita, da sempre”. E “il modo in cui rispondiamo crea frequenze e risposte dalla vita stessa. Ma non è aritmetica, è danza”.
In tutto questo, la natura, l’ascolto, la meraviglia. Perché “Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura”. La magia di tutte le Creature. Perché “Gli animali sono educatori del cuore. Gli alberi del suo silenzio. (…) Osservare gli animali e gli alberi è imparare altre grammatiche d’amore. (…) Imparare la lingua del cuore rende saldi e unici, attraversando una grande trasparenza e una nudità che tanto ci spaventa, mentre è la nostra vera natura”.
Fiducia e spoliazione, vibrazioni e parole, interdipendenza e solitudine, un silenzio vivo, quiete, il filo sacro del respiro. “Fino a essere tutto cuore, universo che pulsa in noi. Universo noi”. Così da “Vivere, respirare, meditare per addestrarsi a essere nulla”.
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