Cresce il disagio degli adolescenti, confusi e disorientati dalla stretta attualità e da un periodo di naturale ricerca di se stessi. Il ruolo degli adulti verso i più giovani diventa quindi indispensabile (oltre che difficile)
«La pandemia e ora la guerra hanno esacerbato i disagi degli adolescenti che, però, esistevano già». A dircelo è Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro. Lo raggiungiamo mentre le notizie dal fronte Russo-Ucraino si fanno sempre più drammatiche, con l’obiettivo di fotografare come stiano vivendo gli adolescenti questa fase così complessa e di cambiamento della nostra storia comune. Abbiamo scelto di parlare con lui, che da anni si occupa della parte più giovane della popolazione e ha da poco dato alle stampe, per Raffaello Cortina Editore, un libro dal titolo L’età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti.
Professore, che fase stanno attraversando, appunto, gli adolescenti?
Per ciò che riguarda la pandemia è ancora presto per dare dati certi, infatti è in corso una ricerca dell’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza insieme all’Istituto Superiore di Sanità che cercherà di capire le ricadute della pandemia sulla salute mentale di bambini e adolescenti. Potremo avere un quadro chiaro solo nei prossimi tre anni. Tenete conto che gli effetti della crisi economica del 2008, in rapporto ai tassi di suicidi rispetto alla popolazione, si sono visti anche quattro anni dopo. C’è, però, un rischio ed è quello di attribuire alla pandemia le responsabilità di un disagio adolescenziale che invece era già presente prima. O meglio, tutte le modalità di esprimere il disagio degli adolescenti negli ultimi anni – disturbo della condotta alimentare femminile, ritiro sociale maschile, i gesti autolesivi, i tentativi di suicidio – già erano presenti e sono il grande “rimosso” della società.
Qual è il nodo, allora, di questa sofferenza già in essere?
Molto spesso, a proposito di relazione tra figli e genitori – ma più in generale, direi, anche rispetto alla relazione tra studenti e docenti – il tema è che, negli ultimi anni, c’è una fragilità adulta straordinariamente importante ma si punta tutto sulla responsabilità delle crisi adolescenziali, riconducendole prima a internet e oggi alla pandemia.
Pandemia e guerra non sono però fattori trascurabili…
Certamente la pandemia e poi una guerra testimoniano un tema che ragazzi e bambini si pongono: “Ma cosa fanno questi adulti che dopo una pandemia, s’inventano pure una guerra?”, però il tema importante è la fragilità di mamma, papà, scuola. L’individualismo della società che era imperante ha fatto sì che sparissero anche un po’ i figli e gli studenti davanti a delle fragilità adulte.
E quindi come stanno e come staranno i ragazzi dipenderà da come gli adulti sapranno rapportarsi con gli adolescenti?
Occorre che gli adulti non trasformino una pandemia in una vicenda da far chiudere – come sento spesso dire drammaticamente – per “tornare alla normalità di prima”. Dobbiamo invece capire cosa abbiamo appreso da questa pandemia e cosa abbiamo appreso di quello che deve essere il nostro ruolo di padri, di madri, di insegnanti.
Gli adulti in cosa sarebbero carenti rispetto agli adolescenti?
La famiglia ascolta i figli molto più di quanto venissi ascoltato io mediamente, per non parlare di mio padre: mio nonno non sapeva neanche quanti figli avesse in casa. Il problema è che l’ascolto odierno degli adulti è un ascolto che non è in grado di sentire davvero cosa hanno da dire i ragazzi. La verità è che i bambini di oggi sono cresciuti e portano in dote, poi con l’adolescenza, l’esperienza di una società dove gli inciampi, le cadute, le frustrazioni, il dolore, i pensieri tristi e le emozioni negative sono le grandi rimosse dalla nostra società. E se questo esisteva già prima del Covid, la pandemia lo ha addirittura monumentalizzato.
Famiglia e scuola restano, ciononostante, modelli educativi di riferimento per gli adolescenti?
Sono modelli di identificazione limitati rispetto al passato. Prima, contavano solo scuola e famiglia. Oggi, ci sono una serie di competitor straordinari nei modelli di identificazione dei bambini, fin da piccoli. Se non li ascoltiamo, questi adolescenti, è chiaro che aumenterà il potere orientativo di altre agenzie che non hanno un mandato educativo: gli youtuber, gli influencer e il gruppo dei coetanei.
Il che significa che gli adulti – che pure ascoltano di più i giovani rispetto al passato – crescono i bambini, futuri o attuali adolescenti, dentro canoni che possono risultare frustranti?
I bambini, oggi adolescenti, crescono iper adattati al fatto che gli adulti sono poco propensi ad accettare i fallimenti, i dolori, gli inciampi come parte costituente del processo di crescita. E questi modelli, che sono modelli iper ideali, fanno crescere i giovani sotto lo sguardo angosciato degli adulti che vacillano ogniqualvolta hai difficoltà, che non sei socializzato, che non stai ai tempi di una precocizzazione delle esperienze.
Il rischio qual è?
È che la persona crolli con l’arrivo dell’adolescenza, dove poi l’identità la devi costruire tu, dove il corpo con cui devi fare i conti è quello della trasformazione biologica e dove la spinta a dover stare bene a tutti i costi è difficile da gestire.
Perché dà al suo libro il titolo L’età tradita?
In Italia c’è un’anticipazione, una precocizzazione dell’infanzia cui segue un’infantilizzazione dell’adolescenza. Cioè, nell’infanzia si costruiscono i modelli che ho appena descritto e poi, con l’adolescenza, invece li si tratta – a scuola e in famiglia – come fossero degli adolescenti di epoche scorse.
Cosa intende?
Che ancora ci sono degli stereotipi pazzeschi. Si parla ancora degli adolescenti come trasgressivi: tutte fandonie.
Ma perché i genitori di oggi faticano a confrontarsi con la difficoltà di questi nuovi adolescenti?
Perché abbiamo creato una società dove è vietato fallire, molto più individualista, dove è venuta meno la comunità educante e conta molto il successo, la popolarità. Inoltre i figli sono più programmati, e sono perciò spesso figli unici e investiti di attese. Chiediamo a questi giovani di non essere mai tristi perché sennò questo sarebbe la cartina di tornasole della nostra incapacità genitoriale.
Quindi l’invito qual è?
Bisogna dire a genitori e docenti che non esiste una ricetta magica del genitore o dell’insegnante perfetto. Tutti i più giovani hanno un bisogno educativo speciale, i figli sono diversi da noi e la competenza genitoriale, la difficoltà ma anche l’autorevolezza, ad esempio del genitore, è raggiungere il figlio là dov’è, per quello che è. Ma siccome questo è troppo angosciante, prevalgono contraddizioni straordinarie.
Quali?
Quando hai delle figure adulte troppo impegnate a sentire che stanno facendo bene il loro mestiere, che sono adatte e che lo stanno facendo per te, dopo è difficile per un ragazzo dire come stia davvero, perché vede che gli adulti sono troppo angosciati. Avremo ragazzi che all’interno della loro stanza si suicideranno – come già succede – e diremo che è colpa di una “challenge”. Così, al funerale – invece di accettare e comprendere che non siamo in grado di ascoltarli – lanceremo palloncini bianchi in cielo, salutando coloro che sono morti per suicidio. Questo è il problema della rimozione del fallimento.
Cosa occorre fare per invertire la rotta?
La famiglia deve ascoltare il dolore, chiedere come va oggi in internet e non solo come è andata a scuola. Deve interessarsi della vita virtuale. La scuola deve capire che quello che conterà sarà sempre di più stare in relazione, ma anche con collegamento a internet. Sei lavori su dieci di chi entra oggi nella scuola primaria non sappiamo quali saranno. Ci sono solo due certezze: produrre un videogioco e saper usare internet… Praticamente i due nemici della scuola italiana. Per contro, i giovani devono saper chiedere: indagini recenti dicono chiaramente come loro vogliano la scuola. Vogliono, non a caso, una scuola in cui non conti più l’insegnamento dalla cattedra, dove conti l’interazione, dove l’errore sia l’inizio della scienza e non il preambolo della fine.
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