Il 2 dicembre 1923 nasceva a New York da una famiglia di origine greca la più grande soprano di tutti i tempi, Maria Callas. Con una dedizione assoluta portò il “belcanto” operistico ai suoi fasti ottocenteschi e fu un’icona di stile e di mondanità.
Nel 2007 i giornalisti e i lettori della prestigiosa rivista di musica classica BBC Music Magazine hanno votato come “la più grande soprano di tutti i tempi” Maria Anna Sophia Cecelia Kalogeropoulou, conosciuta in tutto il mondo come Maria Callas. Personaggio tracimante e influente, seppe andare al di là del semplice ruolo di cantante lirica per diventare un fenomeno musicale e sociale e seppe cambiare per sempre il modo di proporre al pubblico un’opera lirica. Questo 2 dicembre ricorre il centenario della sua nascita a New York, dove la famiglia di origine greca si era trasferita a cercare fortuna e ad allestire una piccola farmacia.
La “Divina”
I suoi soprannomi, da “la ragazza dalla voce d’oro” a “opera biblica”, da “usignolo” a “dea” fino al definitivo “la divina”, ne punteggiarono la carriera lunga una trentina d’anni, durante la quale si espresse in 48 ruoli operistici, di cui quattro solo su disco (tra questi Manon Lescaut, Carmen e Madama Butterfly). Un numero infinito se paragonato a quello delle colleghe, pur scegliendo solo in un’occasione un’opera contemporanea, la O Protomastoras, “il capomastro”, del compositore greco Manolis Kalomiris.
Maria Callas (il nome d’arte è una contrazione del cognome anagrafico, diventato prima Kàlos, poi Callas) ha auto tre stagioni espressive, le prime due divise dal drastico dimagrimento di quasi 30 chili in poco più di un anno, tra la fine del 1952 e l’inizio del 1954, e poi ancora di altri 10 chili, e la terza, quella del declino, dovuta probabilmente dagli effetti di una dermatomiosite, malattia che provoca il progressivo cedimento della muscolatura.
Una voce unica
La sua voce, coltivata al ritorno in Grecia con la madre in Conservatorio, dove entra a 14 anni dichiarando i 16 necessari all’ammissione, e, dopo la guerra, in Italia, sotto la guida del decano dei direttori d’orchestra italiani Tullio Serafin, è innanzitutto basata su una capacità di fraseggio unica.
Questa le permetteva di spaziare con una velocità mai ascoltata dai tempi ottocenteschi di Giuditta Pasta o Maria Malibran, dai toni medio-gravi, disegnati con la forza di una penetrazione diretta e potente, a quelli acuti, lievissimi, melodici, carezzati. Una bivalenza – qualcuno affermò che sembrava possedere due apparati fonatori in gola – che le permise di recuperare un repertorio all’epoca dimenticato, soprattutto Bellini, Rossini, Cherubini, e di eseguire il cosiddetto “canto di coloratura”, fatto di trilli, glissato, appoggiature e così via, in maniera personale e precisissima.
Debutta da protagonista a Verona nel 1949 ne La Gioconda di Ponchielli diretta da Serafin, che ricordava: «Era così straordinaria, così impressionante fisicamente e moralmente, così sicura del suo futuro. Sapevo che questa ragazza, in un teatro all’aperto come l’Arena, con la sua voce potente e il suo coraggio, avrebbe fatto un effetto pazzesco».
La lirica diventa spettacolo completo
Il suo canto è sempre più ricco di sfumature e di morbidezza e, dopo la dieta ferrea, si unisce a un’abilità attorale e a volte persino atletica di tenere il palco, di gestirlo in funzione delle emozioni dei personaggi interpretati, grazie a registi del calibro di Visconti, Zeffirelli, Minotis, che fecero delle rappresentazioni operistiche dei veri e propri spettacoli a tutto tondo, in cui erano importanti anche la scenografia e i movimenti, il trucco e la gestualità, non solo le voci e l’orchestra. Dopo di lei il “belcanto” ritornò a essere quello delle origini, uno show totale.
Le sue interpretazioni degli anni Cinquanta, quando vive in Italia, diventano dei classici per gli appassionati, in particolare lo Stabat Mater, la Lucia di Lammermor, La dannazione di Faust, Norma (ne fece ben 90 interpretazioni nei teatri di tutto il mondo, con un cachet che nel 1960 era di 10 milioni di lire) e Tosca resteranno nel tempo.
La mondanità
Il suo successo è globale, il superamento dello stile precedente il suo avvento sulle scene (rappresentato dalla voce più omogenea e vellutata di Renata Tebaldi, con cui visse una rivalità esasperata dalla stampa) è totalmente assimilato dal pubblico. È questo il periodo in cui Maria Callas diventa anche un’icona della vita mondana internazionale, elegantissima e a suo modo bellissima, richiesta in tutti gli eventi e in tutti i salotti, vive una paparazzata e difficile storia d’amore (la più importante delle diverse che ne punteggiarono la vita) con l’armatore plurimiliardario Aristotele Onassis, che non la sposò mai preferendole nel 1966 l’ex moglie di John Kennedy, Jacqueline, senza neppure comunicarle la scelta e causandole una crisi depressiva.
Il declino
Con i favolosi sixties la sua voce comincia a dare segni di cedimento, perde elasticità e precisione, gli acuti si accorciano, il fisico stesso non regge le fatiche di un’opera completa, così inizia a diradare gli impegni, a dedicarsi soprattutto ai recital, non senza offrire ancora esibizioni emozionanti, come per il suo ritorno al Metropolitan di New York nel 1965.
Si ritira dalle scene poco dopo e vi fa ritorno come protagonista del film Medea di Pier Paolo Pasolini, per tenere corsi di perfezionamento negli States e poi per un grande tour mondiale con il tenore Giuseppe Di Stefano. Nel 1974 il ritiro definitivo nella sua casa a Parigi, in una via defilata oggi rue Maria Callas, dove morì di infarto tre anni dopo, non ancora 54enne.
I dischi
Lasciò un numero enorme di incisioni – il cofanetto con quelle non piratate Callas Remastered. The Complete Studio Recordings consta di 69 cd, che però sono acquistabili anche separatamente – e le riprese di vari spettacoli, soprattutto dell’ultimo periodo, non il migliore. Chi cerca un distillato esemplificativo può cercare Pure, album che raccoglie alcune delle arie più famose della Divina, la cui voce continua a ispirare le generazioni a venire, anche a cento anni dalla nascita.
Perché, come ebbe a dire il direttore del Met newyorchese Rudolf Bing, «quando uno ha sentito e visto Maria Callas – le due situazioni non sono separate l’una dall’altra – gli è davvero difficile apprezzare un altro artista, non importa quanto grande, tanto la sua personalità e il suo canto permeano l’ascoltatore. Il movimento di una delle sue mani era più chiaro ed emozionale di quello che un altro avrebbe potuto fare durante l’intero spettacolo».
(Foto apertura: Walter Cicchetti/Shutterstock.com)
© Riproduzione riservata