Le famiglie italiane si ritrovano ad essere sempre più vulnerabili in fatto di salute e nella gestione della non autosufficienza.
Stiamo vivendo da qualche tempo ormai una transizione demografica importante che ha messo a nudo le fragilità delle famiglie. Una situazione che ha comportato un aumento della domanda di cure a lungo termine, così come di malattie croniche e criticità legate all’età avanzata. Una situazione che necessita di risorse sanitarie adeguate.
Si tratta del quadro emerso dallo studio Dove sta andando il welfare? Salute, assistenza e previdenza nelle attese delle famiglie, realizzato dal Censis per Assindatcolf, l’Associazione Nazionale dei Datori di lavoro domestico. Sono stati intervistati 2.400 nuclei familiari che hanno assunto un lavoratore domestico, valutando diversi aspetti del rapporto di lavoro e la percezione della sicurezza delle famiglie di fronte a un’evoluzione del welfare che oggi rischia di essere compromesso nelle sue finalità costitutive.
Il rapporto di lavoro domestico
Il pagamento di ferie, tredicesima e trattamento di fine rapporto al collaboratore domestico o all’assistente alla persona non autosufficiente comportano un esborso che mette in crisi le risorse economiche delle famiglie: solo il 25% dei datori di lavoro dichiara di liquidare la tredicesima con quote mensili da distribuire nell’arco dell’anno, e per il Tfr il 58,3% dice di liquidarlo nel momento in cui il rapporto di lavoro arriva a conclusione. Il 35,9% utilizza la scadenza di fine anno per anticipare il Tfr maturato in quel periodo e il 5,8% liquida una quota dell’80% dell’intero importo annuale. Nel 2023 l’interruzione del rapporto di lavoro è un evento che ha interessato 9 famiglie su 100, nel 44,5% dei casi per il comportamento del lavoratore, nel 24,5% per il venir meno della necessità di impiegarlo.
Le assunzioni dei lavoratori domestici stranieri
Nel settembre scorso il Governo ha riaperto le quote dei Decreti Flussi anche al comparto domestico, che negli ultimi 11 anni ne era rimasto escluso. Ma se questa procedura consente ai cittadini non comunitari di entrare in Italia regolarmente per motivi di lavoro, è pur vero che tra chi deve assumere non tutti hanno appreso in tempo dell’invio della domanda tramite “click day”, e molti lamentano una difficoltà nell’approccio telematico della richiesta (solo lo 0,4% delle famiglie si è dichiarato in grado di compilarla e inviarla in autonomia).
Un sistema di welfare che preoccupa le famiglie
Le famiglie italiane si dicono preoccupate su tutti e tre gli ambiti di protezione sociale: sanità, assistenza e previdenza. Il 66% del campione ritiene che l’elemento critico siano le lunghe liste d’attesa, nel caso in cui siano necessari interventi di cura emergenziali o imprevisti. Il 18,5% teme di essere curato in strutture non adeguate o con personale non competente, e il 5% pensa di doversi allontanare da casa per curarsi.
Il cosiddetto “inverno demografico” con un progressivo invecchiamento della popolazione e un decremento delle nascite è strettamente legato alla domanda di cure a lungo termine, con un aumento di malattie croniche e condizioni legate all’età avanzata. Diventa quindi necessario avere maggiori risorse sanitarie, ma dopo il prolungato indebolimento del Servizio sanitario prima del 2020, e poi con l’impatto della pandemia, l’erosione del servizio pubblico nel comparto salute continua a verificarsi, e la spesa sanitaria pubblica è destinata a diminuire ulteriormente (nel 2026 è previsto per la sanità solo il 6,1% del Pil).
Dalle risposte è emerso che il 45,3% delle famiglie considera prioritario il potenziamento dei servizi domiciliari, il 58,7% chiede l’introduzione della deducibilità del lavoro domestico, e il 49,1% si occupa in prima persona di un familiare non autosufficiente, in aggiunta al caregiver assunto.
La spesa per l’assistenza
In Italia la spesa per l’assistenza rappresenta solo l’11,7% della spesa totale delle prestazioni di protezione sociale, e le erogazioni di denaro in ambito assistenziale che supportano finanziariamente le famiglie vulnerabili sono ripartite fra le prestazioni agli invalidi civili (28%), le pensioni e gli assegni sociali (7,7%), gli assegni ai non vedenti (1,6%), ai non udenti (0,4%) e altri sussidi (43,1%).
Le strutture socioassistenziali e sociosanitarie
Quelle attive nel nostro Paese al 1° gennaio 2022 erano 12.576, con un’offerta di circa 414 mila posti letto, pari a sette ogni mille residenti, con una disparità fra diverse aree nazionali: la disponibilità più alta si riscontra nel Nord Est, con mille posti letto ogni 100mila residenti e nel Nord Ovest, con 972 posti letto ogni 100mila abitanti, contro i 330 del Mezzogiorno.
Le difficoltà dei caregiver
Il 42,4% degli intervistati pensa che l’aspetto più critico per un caregiver sia la fatica fisica e mentale del far fronte ai tanti bisogni della persona assistita. Il 24,7% riferisce una rinuncia alla vita relazionale autonoma e il 16,4% sottolinea la mancanza di un reale riconoscimento, anche economico, del lavoro di cura in ambito domestico. L’8% dichiara di aver dovuto abbandonare o trascurare il proprio lavoro per svolgere quello di caregiver. Il 6,7% è preoccupato dalla mancanza di competenze personali, e dalla possibilità di poter recare danno all’assistito.
L’incertezza del futuro
Il 40,7% delle famiglie che hanno risposto teme di non riuscire ad avere risorse economiche sufficienti in caso di imprevisti, e il 12,5% è consapevole che qualunque emergenza metterebbe in seria difficoltà. L’ansia per l’eventualità di dover ricorrere a prestazioni sanitarie accomuna il 51,2% degli intervistati, mentre la diminuzione dei redditi e del tenore di vita preoccupa il 35% del campione.
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