Le indicazioni di Alzheimer Europe su un tema ancora troppo sottovalutato: il rispetto della sessualità nei pazienti con demenza.
Raramente nell’affrontare la demenza si riflette sull’aspetto della sessualità, per questo nel 2021 Alzheimer Europe ha dato vita ad tavolo di lavoro composto da esperti nel campo della demenza, degli studi di genere, dell’etica, dell’invecchiamento. Ma anche di formazione degli operatori sanitari, assistenza infermieristica e psicologia. Il gruppo era composto da uomini e donne (con e senza demenza), di diverse identità di genere e orientamenti sessuali. Ne sono scaturiti un rapporto dettagliato ed una guida sintetica, per gli operatori socio sanitari e, più in generale, per tutti i cittadini europei. Il documento, infatti, non è solo uno strumento di lavoro, ma vuole anche sensibilizzare la società sul tema della diseguaglianze di sesso, genere e sessualità.
Un’Europa eteronormativa
Il rischio maggiore, spiega il documento di Alzheimer Europe, è che i pazienti siano troppo spesso vittime di una visione stereotipata nella componente affettiva e sessuale. È infatti innegabile che il pensiero più comune sia quello secondo cui la maggior parte del persone si riconoscono come eterosessuali o cisgender (ossia si riconoscano nel sesso biologico) e che la famiglia è composta da madre, padre, nonni. Una visione, sottolinea il Network, che ancora oggi influenza le strutture e la normativa del Vecchio Continente, come nel caso dei sistemi di cura e di assistenza alle demenze. Vediamo le principali linee di orientamento e di azione suggerite dall’Organizzazione per evitare facili generalizzazioni e relative discriminazioni.
Primo: la sessualità e la diagnosi precoce
Secondo la guida, le persone con un’identità non binaria (che non si riconoscono nella schema binario maschile-femminile a prescindere dal sesso attribuito alla nascita) hanno maggiori difficoltà ad ottenere in tempo una diagnosi di demenza e accedere alle cure. Infatti, sottolinea la guida di Alzheimer Europe, hanno maggiori probabilità di sperimentare situazioni di solitudine rispetto agli eterosessuali. Spesso hanno meno contatti con le loro famiglie biologiche e meno probabilità di avere figli. A ciò si aggiunga che gli anziani LGBTQ+, per esempio, tendono ad avere una salute fisica e mentale peggiore e le donne anziane (indipendentemente dalla loro identità di genere o orientamento sessuale) hanno spesso livelli di istruzione inferiori, redditi più bassi e meno accesso all’assistenza sanitaria. Le donne hanno anche meno probabilità di avere una pensione a pieno titolo. Questi fattori possono interferire con le persone di questi gruppi che cercano o desiderano una diagnosi tempestiva.
Secondo: rispettare e sostenere l’identità di genere dei pazienti
I bias cognitivi possono influenzare il rapporto empatico più di quanto si creda e far trascurare aspetti importanti relegandoli al ruolo di “piccoli dettagli”, afferma la guida. Il rispetto dell’identità di genere del paziente passa invece attraverso gesti fondamentali quali la scelta dell’abbigliamento o l’utilizzo del pronome personale (lui/lei) nel quale ciascuno si rispecchia. Così come è limitante escludere persone dalle attività solo sulla base del loro sesso biologico e non tenere conto di un forzato isolamento derivante da eventuali malattie come l’HIV e l’interazione farmacologica tra i farmaci ormonali e quelli dei trattamenti anti demenza. Nelle strutture a prescindere dall’orientamento sessuale, bisogna poi riconoscere il diritto alla privacy e garantire l’accesso a spazi nei quali vivere la propria intimità.
Terzo: promuovere diversità e inclusione tra i professionisti del settore
Infine, secondo la guida, per promuovere la parità di genere è necessario creare un ambiente inclusivo nel quale sia garantita la partecipazione di operatori sanitari e sociali non necessariamente eterosessuali. Ciò significa lasciare liberi gli stessi operatori (sociali e sanitari) di esprimere la propria identità nella svolgimento della professione. Un obiettivo, suggerisce il documento di Alzheimer Europe, raggiungibile con l’assunzione di quote ad hoc (sulla scia delle quote rosa) e di politiche di equilibrio per garantire una buona rappresentanza di genere diverso a tutti i livelli sanitari e sociali, accompagnate da pratiche consolidate e procedure che promuovono apertamente la diversità. Resta inteso che la discriminazione strutturale legata alla sessualità – ossia la disparità di trattamento che trova fondamento nell’assetto organizzativo -, oltre che con l’omofobia, si esprime in più campi. Basti pensare al mondo del lavoro dove i single hanno maggiori trattenute sugli stipendi e più difficoltà a contrarre un mutuo.