Qual è oggi la percezione degli italiani nei confronti della ricchezza? Quale rapporto hanno con i propri soldi e con quelli degli altri? Si tratta di domande interessanti. Sapere cosa pensiamo della nostra ricchezza significa soprattutto capire l’idea di sviluppo del Paese che predomina nella collettività.
Partiamo innanzitutto dal dato che noi italiani abbiamo il primato del risparmio a livello mondiale. Non solo: siamo molto attenti anche a come la ricchezza viene utilizzata. A dircelo è il Censis in un recente rapporto dal titolo Gli italiani e la ricchezza. Affidarsi al futuro, ripartire dalle infrastrutture, realizzato per l’Aipb, l’Associazione Italiana Private Banking. La ricerca affronta contemporaneamente il tema delle infrastrutture: quali sono ritenute strategiche, come andrebbero finanziate, quali rischi comportano e cosa dovrebbe cambiare nei processi decisionali e di governance.
In genere, si risparmia per prudenza, ma anche per previdenza. Già l’economista e Premio Nobel Franco Modigliani osservava che il bisogno di risparmiare si può collegare a obiettivi di sicurezza individuale e familiare nel lungo termine. La ricchezza non ha infatti un valore intrinseco a sé stante, ma assume un valore positivo quando ha un ruolo di protezione o di utilità sociale. Secondo il Rapporto Censis, questa visione positiva della ricchezza attraversa, senza apprezzabili variazioni, le generazioni: è condivisa dal 67,9% dei 35-64enni, dal 65,2% dei 18-34enni e dal 62,8% degli over 64. È invece meno forte tra chi ha titoli di studio bassi (53,7%), redditi inferiori ai 15.000 euro (54,2%) e quasi non percepita dai disoccupati (47,5%).
Ma a più di dieci anni dall’inizio della grande crisi economica, gli effetti della crescita zero, degli investimenti ridotti e di un Prodotto Interno Lordo di segno negativo si fanno sentire. La ricchezza finanziaria delle famiglie nel 2018 è scesa dello 0,4% rispetto al 2008 e oggi è di 4.218 miliardi di euro. Non solo non siamo tornati ai livelli di ricchezza precrisi ma, oltre al tessuto produttivo, sono state toccate anche le tasche degli italiani.
Secondo le stime abbiamo aumentato la quota del portafoglio cash e dei depositi, mostrando meno propensione ad investire. Percepiamo incertezza e paura del futuro e teniamo fermi i risparmi per affrontare i rischi sociali legati alla salute e alla precarietà del lavoro. Dunque, anche a fronte di un elevato stock di ricchezza, i flussi decrescono e l’economia reale non riparte. Persino il valore mediano delle attività finanziarie delle famiglie, fra il 2006 e il 2016, è sceso di quasi il 14%, passando da circa 6.888 euro a 5.933.
Questo è il quadro generale in cui emergono elementi interessanti sull’età dei capofamiglia italiani se collegata alla ricchezza complessiva. Nel 2016, infatti, hanno registrato un valore mediano di ricchezza finanziaria superiore a quello totale, i nuclei i cui capofamiglia sono over 45. Al di sotto si collocano le famiglie giovani, poiché l’andamento negativo registratosi rispetto al 2006, in termini percentuali, ha colpito di più gli under 45, mentre gli over 64 hanno potuto godere di un trend tutto sommato positivo.
Le più “ricche” sono proprio le famiglie che possono contare su un capofamiglia tra i 55-64 anni, con 8.000 euro di valore mediano delle attività finanziarie (corrispondente comunque a -27,7% rispetto al 2006). È il valore più alto nella distribuzione per età seguito da quello dei nuclei familiari con percettore di reddito over 64 (un valore mediano di 7.000 euro, + 7,0% rispetto al 2006). All’estremo opposto troviamo le famiglie con capofamiglia under 34 (con 2.967 euro di valore mediano delle attività finanziarie, -54,6% rispetto al 2006).
La ricchezza finanziaria, quindi, si accumula nelle famiglie dei senior e si allarga la forbice tra chi dispone di maggiore capacità finanziare (famiglie con capofamiglia tra i 55 e i 64 anni, ma anche over 64) e famiglie giovani.
Ma anche fra i più “ricchi” prevalgono le incertezze sul futuro: il 53,4% dei detentori di patrimoni si preoccupa del suo futuro in Italia tra dieci anni, il 23,4% è incuriosito e solo l’8,3% si sente sfidato dallo scenario attuale. Il fattore anagrafico ha un peso su quest’atteggiamento, dato che la preoccupazione è più diffusa tra chi ha almeno 55 anni mentre diventa minoritaria tra gli under 35.
Solo lo scorso anno la preoccupazione era diffusa in modo omogeneo tra le diverse fasce d’età. Ma per i ricercatori del Censis la spiegazione è semplice: la divaricazione di percezione del futuro tra giovani e anziani è oggi acuita dalla “scomparsa all’orizzonte delle certezze e dei solidi riferimenti su cui le persone potevano contare andando verso la terza età”.