Mi è arrivata una lettera, che mi ha fatta pensare. È di una signora di Milano, 67 anni, una signora che si definisce “sportiva, giovanile, piena di interessi e di voglia di vivere”, e che lamenta: «Vedo poco mio figlio, meno ancora mia figlia. Lei è a Milano, come me, distanza sei fermate di un tram puntualissimo. Lui vive a Bologna, che non è in Australia». E allora perché, si chiede e mi chiede accoratamente, «Perché quando finalmente accetta un invito a cena, lei, o riesco a farmi invitare a Bologna per un weekend, da lui, hanno sempre fretta, sembrano non vedere l’ora di andarsene, dicono quattro banalità e rispondono continuamente ai WhatsApp che trillano e strillano dai loro cellulari?».
Ho provato a rispondere mentendo, come si fa quando si vuole consolare qualcuno. Ma evidentemente mentire non è nel mio Karma. Perciò ecco qua come la penso, in tutta la mia ruvida sincerità.
Il rapporto genitori-figli non è reciproco. Ci può essere, e quasi sempre c’è, un forte sentimento d’amore, di affetto, di rispetto, ma non c’è quello scegliersi che c’è nei rapporti orizzontali. Per le madri i figli sono una parte di sé. Sono al centro di pensieri e preoccupazioni da quando erano contenuti nel loro ventre, e lo saranno fino alla fine.
I genitori crescono i figli secondo il loro principi, cercando di formarli come ritengono giusto. E quasi sempre raccolgono quello che hanno seminato. Ai figli i genitori toccano in sorte. Li subiscono. Non li hanno scelti e non li hanno educati.
Non possiamo fare loro un torto se preferiscono uscire con i loro amici, o fidanzati o mariti o mogli o amanti o allegre brigate di trenta/quarantenni. E poi c’è la faccenda dell’egoismo: le donne e gli uomini che vivono gli anni centrali della vita sono sempre, almeno un po’, egoisti. Non c’è nulla di malvagio. Si tratta di una faccenda fisiologica: l’animale giovane deve acquisire le sue competenze e questo va a scapito delle esigenze di chi lo ama, di quell’amore scontato che è l’amore materno e paterno. Perché l’amore dei genitori è naturale. I figli non hanno bisogno di conquistarci, di sedurci. Noi li amiamo e loro lo sanno benissimo.
Ovviamente anche loro ci vogliono bene, ma in modo alquanto letterale: loro vogliono il nostro bene. Hanno bisogno di sapere che stiamo in forma, che non siamo deboli, malate o infelici, che siamo forti e autonome, o addirittura, come scrive la signora milanese: «Sportive, giovanili, piene di interessi e di voglia di vivere». Rassicurati sulla nostra condizione, si fanno, amenamente, i fatti loro. Come noi ci siamo fatte i fatti nostri quando nostra madre era vecchia e noi eravamo giovani.
Cara signora di Milano, sii spietatamente sincera: morivi dalla voglia di andare in weekend con tua madre? Io con la mia no. Quando da Roma tornavo a Torino, da cui ero fuggita a 18 anni, per andare a trovare la mia famiglia, passato il primo sollievo di pasti caldi e biancheria pulita, incominciava il conto alla rovescia: quanto tempo avrei ancora dovuto restare lì, in quella casa che non sentivo più mia? Quando sono diventata anche io una madre di figli adulti, il ricordo di quella smania di andarmene mi ha costretta a capire i miei figli. Fedele alla mia memoria, non chiedo niente di più di quello che hanno voglia di darmi. E quando stiamo insieme (è sempre il figlio maschio che mi cerca, la femmina abita in Texas quindi abbiamo rapporti FaceTime) evito accuratamente di lamentarmi. Per adesso non è difficile perché ho una vita piena e soddisfacente. Più avanti, se le cose dovessero cominciare a peggiorare, nel “Terzo Tempo” è sciocco non aspettarselo, credo che sarei disposta a mentire. «Come stai, mamma?». «Benissimo, tesoro».
Il nostro buon umore è l’ultimo dei regali che facciamo ai nostri figli. Il più prezioso.