Il 28 marzo scorso il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge, proposto da Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Il disegno di legge introduce il divieto di produzione e di immissione nel mercato di alimenti e mangimi sintetici. Da allora si parla molto di “carne sintetica”, ossia prodotta in laboratorio. Ma di cosa si tratta davvero?
La risposta a questa domanda si trova tra le maglie del progresso scientifico: negli ultimi anni sono state sviluppate tecnologie con cui è possibile riprodurre e far vivere in laboratorio cellule animali e vegetali. Questa innovazione ha applicazioni in vari ambiti, tra cui soprattutto quello sanitario e biomedico: basti pensare alla possibilità di sperimentare l’effetto dei farmaci e di produrre i vaccini o di verificare se una sostanza sia o meno cancerogena.
Un altro possibile utilizzo di queste tecniche riguarda l’industria agroalimentare. Diverse ricerche hanno dimostrato che è possibile riprodurre in laboratorio veri e propri tagli di carne commestibili. Il procedimento è il seguente: i ricercatori prelevano staminali dalla pelle o dai muscoli degli animali, le lasciano moltiplicare in un bioreattore per poi indurre quel naturale processo biochimico che le farà diventare tessuti. E da qui tagli di carne.
Parlare di “carne sintetica”, quindi, potrebbe essere improprio. Le cellule in vitro crescono come farebbero nell’organismo animale, l’unica differenza è l’ambiente in cui si moltiplicano. Il termine sintetico, invece, fa riferimento ad un processo chimico non naturale.
Il primo esperimento di carne coltivata in laboratorio risale al 2002
Già nel 2002, presso l’Università Touro di New York, un team di ricercatori ha ricreato la carne di pesce a partire dalle fibre muscolari prelevate dai pesci rossi. Come si legge sul “New Scientist”, l’obiettivo della sperimentazione era produrre cibo nutriente per gli astronauti senza dover uccidere gli animali.
Questa prima esperienza ha reso possibile avviare ricerche più specifiche: tra queste c’è il progetto del farmacologo olandese Mark Post, supportato dall’Università di Maastricht, grazie al quale il 5 agosto 2013, a Londra, è stato servito il primo hamburger interamente prodotto in laboratorio. I ricercatori hanno estratto staminali da un bovino vivo e le hanno fatte crescere in quello che in gergo tecnico è chiamato medium, ossia un “terreno” di coltura ricco di sostanze nutritive in cui le cellule possono proliferare.
Sono pochi i paesi in cui la carne coltivata è in commercio: in Europa la situazione è ferma
Dopo il successo di questo esperimento sono nate tante start-up che hanno differenziato i loro ambiti di ricerca, aprendosi alle colture di staminali di tutti gli animali ma anche dei prodotti da loro derivati, come latte e uova. Tuttavia, il passaggio dal vitro al piatto non è ancora diffuso.
Ad oggi, infatti, la carne coltivata in laboratorio non può essere commercializzata ovunque. Il primo paese a dare il via libera è stato Singapore a dicembre 2020 quando ha approvato un alimento a base di pollo coltivato, realizzato da “Eat Just”, una start up di San Francisco. Successivamente, a luglio 2021, l’azienda di food tech “Future Meat Technologies”, nata nel 2018, ha annunciato l’apertura del primo stabilimento di carne in laboratorio a Israele nella città di Rehovot, dove produce pollo, maiale e agnello. Ultimi in elenco gli Stati Uniti: a novembre 2022 la Food and Drug Administration ha dichiarato che un pollo coltivato in laboratorio dall’azienda californiana “Upside Foods” rispetta gli standard di sicurezza imposti dalla normativa.
La FDA ha incoraggiato le aziende all’utilizzo di nuove tecnologie alimentari che abbiano come priorità la sicurezza del cibo, tuttavia il suo parere non costituisce un’autorizzazione all’ingresso nel mercato. Affinché ciò avvenga è necessario che il prodotto risulti idoneo anche alle verifiche del Servizio per la sicurezza alimentare e alle ispezioni del Dipartimento dell’Agricoltura. In Europa spetta all’Efsa – l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare – e alla Commissione Europea pronunciarsi sul tema, ma al momento nessuna azienda ha presentato richiesta di autorizzazione.
La prospettiva legislativa italiana
Come anticipato, il 28 marzo il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che vieta la produzione e l’immissione nel mercato italiano di alimenti e mangimi sintetici.
Il via libera al ddl è per tutelare la salute umana e il patrimonio agroalimentare italiano, in conformità con il principio di precauzione. L’eventuale violazione della norma sarà punita con una sanzione pecuniaria amministrativa che va da un minimo di 10.000 € ad un massimo di 60.000 €, o pari al 10% del fatturato annuo dell’azienda, nonché con la confisca del prodotto, e l’esclusione da contributi, finanziamenti o agevolazioni dello Stato o dell’UE da uno a tre anni.
Tuttavia, se la Commissione Europea approvasse l’ingresso nel mercato della carne coltivata, l’Italia non potrebbe vietarne l’importazione. La situazione è dunque ancora in fase di sviluppo e si attendono ulteriori novità da Bruxelles.
Intanto la scienza sembra aver trovato una risposta molto aderente a quanto scritto da Winston Churchill nel saggio FiftyYears Hance nel 1931: «Sfuggiremo all’assurdità di far crescere un pollo intero solo per mangiarne il petto o l’ala, facendo crescere queste parti separatamente in un ambiente adatto».
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