Quando l’abbiamo portata dal veterinario la giornata era spettacolare. Dall’alto dei tornanti che scendevano all’ambulatorio sul lago, l’orizzonte si dipanava in tutta la sua magnificenza. Lo specchio lacustre era colmo di cielo, ed il cielo era percorso da nuvole tese e veloci: una giornata incantevole.
Ma in quel giorno radioso la diagnosi è stata comunque infausta. La coscienza del medico suggeriva solo un’ultima chance con una pesante terapia domiciliare.
Ripercorriamo i tornanti, in salita questa volta verso casa, sempre sotto un cielo blu commovente riflesso in un lago imperturbabile ed ora anche un po’ triste.
A casa il trattamento prescritto inizia subito a rivelare la sua salvifica barbarie. La prospettiva di una vita in quelle condizioni ci appare ben presto inaccettabile e così decidiamo di sospendere tutto e lasciare che le cose vadano come devono andare.
Sapevamo che la cosa non sarebbe andata avanti molto. Bisognava solo aspettare il fatal giorno.
È oggi il giorno.
Loro sono usciti. Non torneranno prima di sera.
Ho deciso: appena mi sento un po’ in forze mi alzo dal cestino e me ne vado fuori. La giornata è luminosa e tiepida: la giornata ideale.
Mi sento tutta scombussolata. Ed è così già da qualche tempo prima che mi portassero giù da quei tornanti a farmi visitare. Sentivo già da allora che le cose non andavano bene ed in questi ultimi giorni ho smesso di mangiare e anche di bere non ne ho più voglia. Sono debolissima. Quando cammino barcollo e devo spesso fermarmi per non cadere.
Un raggio di sole mi colpisce brevemente ed è sufficiente a stimolarmi. Raduno le forze, scendo dalla cesta, scavalco con fatica la gattaiola e mi incammino fuori di casa.
Dopo qualche passo ho come un mancamento. Mi devo fermare. Non mi reggo in piedi ma devo proseguire, non voglio che mi trovino quando torneranno a casa.
So bene dove devo andare. Ho in mente un posto splendido. Da quando ho cominciato a non stare bene ci ho pensato tutti i giorni. È un luogo bello e nascosto: il posto perfetto!
Attraverso lentamente il giardino che oggi mi sembra immenso ed interminabile. Ogni tanto devo fare una sosta. Ricordo quando lo attraversavo di corsa in un battibaleno.
Con fatica raggiungo il boschetto di allori. Dietro ai tronchi c’è il muretto della recinzione che in questo punto è piuttosto basso. Non mi sarà difficile saltarci su e la rete proprio qui è leggermente sollevata. Pelle e ossa come sono, non avrò difficoltà a strisciarci sotto per attraversarla.
Raduno tutte le forze che possiedo ancora. Mi concentro e spicco il salto sul muretto ma sono così debole che perdo l’equilibrio. Ricado ai piedi degli allori. Mi rialzo a stento. Sono sfinita. Sto ferma ad ansimare per qualche minuto. Uno, dieci, venti non lo so. Ho perso completamente il senso del tempo. Proprio io che ho sempre avuto l’innata qualità di percepire l’ora giusta per rientrare in casa a gustarmi le adorate crocchette e le agognate coccole.
Dopo questo momento atemporale raccolgo ancora le forze. Sento chiaramente che sono le ultime e questa consapevolezza mi procura angoscia: se fallisco anche ora mi troveranno qui e non voglio. Voglio andare nel bosco, al di là del giardino.
Il salto questa volta ha successo. Sono in bilico sul muretto e senza stare troppo a pensare, prima che mi manchino definitivamente le forze, mi infilo sotto la rete e con un piccolo balzo atterro esattamente dove volevo arrivare. Mi sento contenta.
Qui ci venivo già tanti anni fa quando la rete era in ordine, poi il peso della neve l’ha piegata sollevandone un lembo verso l’esterno generando il passaggio. Prima della creazione del varco, in questo luogo ci arrivavo dal di fuori della recinzione facendo un giro assai lungo ma che da giovane curiosa, mi piaceva fare. Ci venivo per lo stesso motivo per cui ci sono voluta venire ora: venivo per riposare.
È il luogo più bello che conosca tra tutti quelli nei quali in questi anni sono stata. Qui, al limitare del bosco c’è un cuscinetto di muschio morbido e vellutato ed accanto ci scorre un ruscelletto che lo tiene umido e smaltato di verde.
In questa stagione tutt’attorno sono fiorite le mammole. Mi piaceva un sacco venirci di questi tempi proprio per farmi delle belle dormite cullata dal profumo di violetta e dal dolce rumoreggiare dell’acqua.
E poi qui non viene nessuno. Nessuno che io sappia s’intende perché gli abitanti del bosco sono imprevedibili. Ma di sicuro non verranno loro. Qui non immaginano certo di venirmi a cercare.
Si, è proprio qui che volevo venire. È proprio qui che voglio restare.
Mi accoccolo sul cuscinetto muschioso. Il cuore mi sembra andare a mille. Non sto benissimo. Provo ad annusare la violetta che ho sotto il naso. Niente da fare, non sento nessun profumo. E anche il corso d’acqua mi sembra mormorare lontano, tanto lontano quando invece scorre qui, vicinissimo alle mie orecchie.
Un raggio di sole provvidenziale mi raggiunge e mi scalda un pochino. Ma mi accorgo di avere freddo. Tanto freddo. Mi raggomitolo su me stessa più strettamente ma il freddo diventa sempre più penetrante nonostante il tepore dei raggi del sole. Non sono mai stata freddolosa e anche quando fuori faceva quello che si diceva “un gran freddo” io me la sono sempre spassata ed anche nella neve ci andavo senza paura. Ma adesso un gelo sconosciuto mi riempie il corpo, la testa. Sento un rumore. Chissà quanti ce ne sono stati e che non ho avvertito. Ma questo, forse più forte degli altri mi scuote. Alzo la testa, apro gli occhi ma non vedo niente. Una patina opaca e collosa mi si para davanti. Non vedo nulla. Provo paura. Faccio un lungo e profondo respiro. Penso: “sarà l’ultimo?”. Mi rannicchio stretta stretta. Un senso di leggerezza mai assaporato mi procura una fuggevole sensazione di benessere. Poi un fremito e un calore improvviso mai sperimentato mi scuotono in rapida successione. Penso a loro ai quali ho risparmiato di vedermi così. Mi sento soddisfatta. Mi sento pronta. Riesco ancora a sentire un leggero ruscellare poi con stupore un leggero soffio d’aria mi investe lasciandomi addosso l’ormai inaspettato profumo di violette.
Appena entrati in casa la sera ci siamo chiesti dove fosse.
Nel cesto dove l’avevamo lasciata la mattina non c’era. L’abbiamo cercata dapprima nei posti consueti e poi nei luoghi meno frequentati fino al sopraggiungere dell’oscurità.
Il sottile e sempre rimandato senso di ineluttabilità era adesso più concreto.
Abbiamo atteso il nuovo mattino con la sua luce radiosa per riprendere ed ampliare la ricerca con la speranza che comparisse come sempre, da un momento con l’altro, come era solita fare con quella sua puntualità cronometrica. Sembrava sapesse sempre quando la si stesse cercando e tac… come d’incanto compariva.
Ma cinicamente abbiamo anche sperato esattamente il contrario, di non vederla più. Mai più.
Molto tempo è passato e nelle nostre menti e nei nostri cuori affiora ancora l’affettuosa considerazione che quel suo gesto di andarsene via per risparmiarci l’ultimo e più triste commiato, sia stato un gesto regale ed elegante.
Un gesto d’istinto e di amore.
Un gesto nobile ed esemplare di dignità animale.
Mauro Carlesso. Funzionario amministrativo in pensione appassionato di scrittura con particolare attenzione all’ambiente e alla montagna. Occasionalmente presta ai giornali locali e alle testate on line i suoi racconti, soprattutto relazioni escursionistiche, per divulgare la conoscenza del territorio in cui vive. Partecipa al Concorso 50&Più per la quinta volta; nel 2018 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa. Vive a Calogna (No)