Mauro Carlesso.
Funzionario amministrativo in pensione con la passione della scrittura che occasionalmente presta ai giornali locali i suoi racconti su temi quali l’ambiente, la natura e il territorio in cui risiede. Partecipa al Concorso 50&Più per la terza volta; nel 2018 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa. Vive a Lesa (No).
Così soleva dire quel poeta visionario che con la terra, l’ambiente e la natura aveva un legame intenso e speciale.
“È ora che quando incontriamo un albero diciamo buongiorno signor albero!”, così diceva Tonino Guerra. E lo diceva con tal vigore che quelle parole volle scriverle. All’ingresso del suo altrettanto visionario “Orto dei frutti dimenticati” realizzato nell’amata Pennabilli nel Montefeltro romagnolo, campeggia proprio questa frase: diretta, chiara, determinata. Una frase che la dice lunga su quel che dobbiamo fare. Una frase che è un’indicazione precisa e garbata sulla strada che dobbiamo percorrere, senza scappatoie o scorciatoie. Gli alberi dobbiamo rispettarli ed onorarli persino con il saluto: “buongiorno signor albero!”.
Forse è eccessivo. Forse invece no.
Ad ogni modo era questo il cortese saluto che proferivo ai fieri e centenari ippocastani che svettavano, come davanti a San Guido di scolastica memoria, davanti alla chiesetta spersa nei boschi sulle morene del Lago Maggiore. Quei boschi che ricoprono i fianchi collinari di quel territorio che va sotto il nome di Vergante, anzi Alto Vergante per meglio definire la connotazione di un territorio che si stacca dal lago per inerpicarsi verso più ambiziosi mondi alpini.
Ci salgo spesso a questa chiesetta spersa nei boschi non lontana dal mio piccolo borgo affacciato sul lago. Un luogo, quello della chiesetta fascinoso, misterioso ed anche un po’ magico come si addice sempre, con fin troppa indulgenza, a questa sorta di località.
“Buongiorno signor albero!”, dicevo sempre a quei magnifici ippocastani che stavano di fronte a Santa Cristina, un edificio di culto con abside romanica e dalle cui finestrelle si può scorgere il catino absidale ancora nitidamente affrescato.
La tradizione dice che questa fosse addirittura la chiesa di un villaggio distrutto dalla peste seicentesca ma, la suggestione del luogo è anche terreno fertile per le leggende.
Resta il fatto che si tratti di un luogo bello per definizione. Un luogo amabile per la ricreazione delle famiglie nelle giornate di festa e di riposo e meditazione per i camminatori più intimisti. Un luogo imprescindibile del paesaggio morenico del Lago Maggiore pregno di natura e cultura. Un luogo da conservare e da valorizzare. Un luogo che avrebbe animato sicuramente anche le visioni di Tonino Guerra.
Ma non fu certo un poeta o un visionario colui che un bel giorno ha abbattuto gli esemplari di ippocastano che stavano davanti a Santa Cristina come i cipressi davanti a San Guido.
Ora, in quel luogo, i possenti tronchi giacciono a terra immoti e malinconici come balene spiaggiate a ridosso delle mura millenarie della chiesetta dalle cui finestrelle la Santa guarda attonita alle contraddizioni dell’uomo. Di quell’uomo che compie opere meravigliose ma che sempre più spesso, in preda al delirio di onnipotenza, compie atti aberranti ed ingiustificabili che oltraggiano oltreché il bosco e la natura, anche il rispetto per ciò che siamo e per ciò che all’uomo è stato donato.
Ed ho un malinconico sentore che dopo che su quei tronchi sia mulinato lo stridore della motosega a quegli ippocastani mancherà il mio amichevole saluto, quel mio: buongiorno, signor albero!
Forse affermare questo è eccessivo. Ma forse anche no.
Se uscendo di casa al mattino per recarci al lavoro, per accompagnare i figli a scuola o per fare la spesa salutassimo l’albero che incontriamo sulla nostra strada, avvertiremmo una sorta di leggerezza che ci renderebbe la giornata più soave e solare.
Se facessimo proprio questo rispettoso ancorché visionario saluto agli alberi, forse comprenderemmo di più il nostro ruolo nella Natura e ci sentiremmo più benevolmente accolti su questa nostra amata Terra.