Un padre o una madre giovani che assistono un bambino con disabilità certamente faticano. Un padre e una madre che hanno superato i 50 o i 60 anni, alle prese con un uomo o una donna con disabilità, hanno bisogno di sostegno e di “sollievo”. L’intervista ad Alessandro Chiarini
“Con l’età aumenta la fatica, ma cresce anche la consapevolezza. E, con questa, la capacità di affrontare le sfide”: lo sa per esperienza personale Alessandro Chiarini, 58 anni, padre di due figli. Uno di questi, Federico, ha 28 anni e una grave disabilità dalla nascita: una paralisi cerebrale infantile,” che ha potuto affrontare, superando mille traversie, grazie soprattutto a mia moglie Monica, che ha rinunciato al lavoro per dedicare la sua vita a lui”.

Alessandro Chiarini
Monica e Alessandro sono due dei tanti, tantissimi caregiver “over 50”, che ogni giorno dedicano il proprio tempo, le proprie energie e le proprie cure a un figlio che, seppure adulto, non può e non potrà mai badare a se stesso.
Quell’emendamento che non piace
Alcuni di loro, per questioni evidentemente anagrafiche, hanno anche genitori anziani, spesso non autosufficienti, che vivono nelle proprie case, oppure in Rsa o in casa di riposo.
“Qualche giorno fa è stato approvato in Commissione Affari Sociali del Senato un emendamento (proposto dalla senatrice Maria Cristina Cantù) al DDL 1241 che ci preoccupa e ci allarma: per quanto non sia ancora legge, ci dà il segno di quanto sia poco e malamente considerato il valore di alcune prestazioni. L’emendamento prevede infatti la separazione delle spese socio-assistenziali di rilievo sanitario da quelle sanitarie: le prime, di fatto, sarebbero escluse dal budget della Sanità pubblica. Parliamo di prestazioni come igiene, vestizione, nutrizione e mobilizzazione, essenziali per la dignità e la qualità della vita degli anziani non autosufficienti, o delle persone con gravi patologie o disabilità”.
Alessandro Chiarini, come papà caregiver, ma anche come presidente dell’associazione CONFAD, si dice molto preoccupato: “Questo emendamento va contro i bisogni delle persone con disabilità gravi e anziani non autosufficienti ricoverati in RSA e RSD: l’ assistenza alla vestizione, l’alimentazione e le cure igieniche di base non rientrerebbero più nella spesa a carico di Regioni e Comuni. È un segnale forte, anche dal punto di vista culturale, nel momento in cui si cerca di riconoscere, con una legge e opportune tutele, il lavoro di cura del caregiver familiare. E la cura è fatta anche di queste azioni: vestire, lavare, nutrire, per garantire ai nostri cari la miglior vita possibile”.
L’impegno del caregiver familiare cresce con l’età
Quanto sia impegnativo e logorante il “lavoro” del caregiver familiare, lo spiega molto bene Chiarini, ricordando un dato: “La premio Nobel per la medicina Elizabeth Blackburn ha mostrato che l’aspettativa di vita di un caregiver familiare è dai 9 ai 19 anni inferiore alla media della popolazione. È quindi scientificamente provato l’impatto di questo impegno”.
Con l’avanzare dell’età, questo impegno diventa più gravoso?
Certamente sì: il genitore diventa più anziano, il figlio diventa adulto e più complesso da gestire, sia fisicamente che psicologicamente. Inoltre, vengono meno i supporti e i servizi che invece ci sono durante l’infanzia e la giovinezza: la scuola e poi il centro diurno.
Restano solo le risorse familiari e i pochi supporti che lo Stato assicura, in termini di servizi domiciliari. Al tempo stesso, però, con il tempo si acquisisce una maggiore consapevoleza di quello che si può e non si può fare. Inoltre, sono superati – o almeno elaborati – la fase di angoscia profonda e il senso di smarrimento da cui si è assaliti all’inizio.
Il caregiver familiare over 50 è quindi più “attrezzato” per affrontare la situazione?
Sì, psicologicamente è riuscito ad armarsi di strumenti per gestire e governare tanta complessità. Al tempo stesso, però, con l’età inizia la preoccupazione del “dopo di noi”: col passare degli anni, diventa sempre più urgente la necessità di organizzare tutte le premesse per garantire al figlio le migliori condizioni possibili.
Si tratta di un impegno di lungo corso, che non dà tregua e che condiziona e limita molto gli orizzonti di vita. Questa condizione diventa particolarmente penosa per i caregiver familiari soli: io condivido ogni preoccupazione e progetto con mia moglie, ma in associazione ci sono tante persone, soprattutto donne, che vivono sole con il figlio o la figlia disabile: sono vedove, o separate.
Non hanno nessuno con cui condividere pensieri e responsabilità: e questo diventa sempre più pesante, con il trascorrere degli anni. Se poi in famiglia ci sono anche genitori anziani di cui prendersi cura, la situazione diventa di una complessità enorme.
E come si può affrontare? Quali strumenti dovrebbe garantire la legge, che ancora non c’è?
La legge deve arrivare al traguardo al più presto, non ci sono più scuse: tra gennaio e novembre 2024 le associazioni, tra cui la nostra, sono state convocate al tavolo interministeriale, che ha raccolto tutti gli elementi di conoscenza necessari.
Ora il governo deve procedere e lo abbiamo più volte richiamato a farlo tempestivamente. Aspettiamo con pazienza – che però non sarà infinita – un atto formale, una legge che preveda strumenti e risorse e definisca bene la platea. Gli strumenti necessari sono principalmente un’indennità economica (specialmente quando il caregiver familiare ha dovuto rinunciare al lavoro), il riconoscimento previdenziale e le indennità di sollievo.
E nel frattempo, come fate fronte, voi caregiver familiari, al grande impegno che vi viene richiesto?
La nostra famiglia, in questo momento, può contare su 20 ore di assistenza con Oss: questo significa che, su 168 ore complessive che ci sono dentro una settimana, 140 sono sulle nostre spalle.
Come facciamo? I caregiver familiari imparano presto a fare salti mortali, spesso doppi e a volte anche tripli, quando per esempio ci sono in famiglia anche genitori anziani non autosufficienti. Per questo, tra l’altro, ci aspettiamo che anche sul fronte degli anziani ci siano interventi legislativi strutturali e stabilizzati. Non siamo supereroi, ma uomini e donne con una grande forza. Io ho sempre in mente un’immagine, quando penso alla vita del caregiver familiare e alle sue peripezie: un naufrago in mezzo all’oceano, o comincia a nuotare oppure affonda.
E chi nuota in mezzo all’oceano sviluppa una grande forza e capacità. Così noi caregiver, nella nostra complessa e faticosa traversata, sviluppiamo una grande forse e una grande capacità di amore e di umanità, che ci aiuta a far fronte alle sfide che la vita ci pone davanti.
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