Sono padri, madri, figli e talvolta fratelli. Sono loro gli eroi silenziosi che ogni giorno, nelle difficoltà quotidiane, sacrificano il loro tempo e il loro spazio per dedicarlo a chi – in quella stessa famiglia – vive un disagio, una disabilità, una condizione di non autosufficienza. In 50&Più ne abbiamo parlato tantissimo in relazione alla non autosufficienza delle persone anziane, ma “il lavoro di cura” non remunerato è diffuso e articolatissimo in diversi contesti. Così, se la parola caregiver è entrata nel linguaggio comune, l’inglese non basta a nascondere l’enorme fatica di chi svolge questo ruolo in forza di un legame affettivo e famigliare e non come scelta professionale. Da un lato, c’è il tema dell’enorme affaticamento fisico ed emotivo, con conseguenze sulla salute del caregiver stesso. Dall’altra parte, c’è evidentemente l’aspetto economico che questo impegno di cura comporta. Infine, ma non da ultimo, c’è anche un tema di isolamento sociale: il tempo dedicato alla cura può limitare la vita sociale del caregiver, portando un senso di solitudine che amplifica lo stress e limita la capacità di trovare nuove soluzioni.
Fa molto riflettere la storia di Pamela, la donna di cui racconta in queste pagine Anna Giuffrida, che ha due figli, uno dei due con una disabilità. L’altro figlio, inevitabilmente, viene educato a prendersi cura del fratello fin da subito. Ad un certo punto dell’intervista Pamela dice: “L’impegno dei fratelli è per sempre”.
Il caregiving famigliare non è un impegno con un cartellino e un orario di lavoro. È sempre. Ed è per sempre. Ecco perché non occuparsi di questo tema significa compromettere non solo la qualità della vita (e la vita stessa) delle persone non autosufficienti, ma anche delle persone che si occupano, pur con tutto l’amore del mondo, di loro.
Alla sua approvazione, nel 2016, la legge sul ‘Dopo di noi’ (che affrontava finalmente il tema della cura dei disabili rimasti senza supporto famigliare) è stata considerata un ‘modello di legge’ per la tutela della disabilità. Da una parte, va però ricordato che la Corte dei conti ha espresso qualche tempo fa alle regioni preoccupazione perché in ritardo sull’uso dei fondi. Dall’altra parte, l’esistenza di famiglie non può essere un alibi per non riconoscere economicamente e giuridicamente questa funzione di caregiver: invece, sono ancora fermi in Parlamento i decreti legislativi specifici in merito.
La vita delle persone non aspetta. Pamela, e tanti altri genitori, fratelli, figli come lei, meritano da subito che la loro funzione non abbia come riconoscimento solo un nome, ma anche un valore.
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