L’ultima, in ordine di tempo, è stata Carolina di Monaco che, a 63 anni, ha detto basta alle tinture mostrandosi in pubblico coi capelli grigi. È avvenuto proprio durante la festa nazionale del Principato di Monaco, dove li ha mostrati tirati indietro da un cerchietto. Ma sono sempre più le donne che dicono stop al colore.
Carolina di Monaco, Jane Fonda, Jamie Lee Courtis, Benedetta Barzini, Sharon Osbourne. Sono solo alcune delle donne che hanno detto basta al colore decidendo di non tingere più i capelli.
Una scelta coraggiosa che potrebbe essere apprezzata da molte donne, stanche di camuffare l’età. Per contro, però, potrebbe anche trattarsi solo di una moda. Anche se la greynaissance – come viene chiamata questa nuova tendenza – sembra un approccio destinato a durare nel tempo.
Ne abbiamo parlato con due donne esperte di questioni femminili, sebbene il tema del colore non conosca genere. Capita infatti che siano anche gli uomini a optare o meno per una chioma colorata, specie se in là con gli anni. Per Donata Bruzzi, psicologa e psicoterapeuta, si tratta di: «Una tendenza molto sana – quella di rinunciare alle tinture – dal momento che, nella nostra società, è ancora forte la rincorsa alla giovinezza perenne, a un’immagine corporea che talvolta viene trasfigurata da interventi chirurgici e che non permette alla persona di esprimere ciò che è realmente».
Dello stesso avviso, Giovanna Vitacca, consulente di immagine: «Al di là di quello che è il capello bianco, a una certa età quasi ogni donna subisce una trasformazione – capelli meno folti, qualche chiletto in più -, un cambiamento che coinvolge tutte. Arrivare a questa fase della vita in modo sereno fa sì che l’aspetto esteriore non diventi una frustrazione».
Ma il tema tinture, come dicevamo, non ha a che fare solo con le donne; la scelta di accettare il capello grigio, per un uomo, ha un certo significato. «In entrambi i casi – sostiene Donata Bruzzi – questo ha a che fare con l’identità di genere che ha una natura prettamente sociale. Il nostro modo di essere donne e uomini ha molto a che vedere con l’idea che la società ha dell’essere donna e dell’essere uomo. Le battaglie che puntano verso la parità dei generi cercano proprio di rivedere questi modelli, di far uscire la donna dallo stereotipo dell’angelo del focolare, con un aspetto gradevole, ma anche creare un varco per l’uomo affinché possa uscire dal cliché dell’uomo forte, realizzato nel lavoro, colui che si occupa del mantenimento della famiglia».
Un’occasione di svolta, dunque? Per Giovanna Vitacca, che lavora appunto con l’immagine, «dopo aver vissuto un passato molto orientato alla perfezione – pensiamo al power dressing degli anni Novanta, ai fisici perfetti dei bodybuilder, al ricorso massiccio alla chirurgia estetica -, oggi c’è una fetta di persone che ha smaltito questo trend e sta invece lavorando sulla propria persona». Una lettura psicologica ci aiuta inoltre a capire – come sottolinea Donata Bruzzi – che: «Noi esseri umani siamo profondamente modaioli. È difficile dire se questa del capello bianco sia una nuova tendenza che si consoliderà. Magari si tratta di un fenomeno ciclico, come cicliche sono tutte le mode».
Di certo, il fatto che personaggi famosi si propongano al grande pubblico con un’immagine più naturale, può creare dei meccanismi di emulazione per cui altre donne – che magari soffrono anche delle complicanze di dover corrispondere ad un modello diverso da quella che è la realtà del proprio corpo – si possano sentire libere di apparire per ciò che sono. Senza rischio – ci domandiamo, però – di cadere in un’omologazione al contrario, del “tutte bianche, ma con un bianco candido e super curato”? Per l’esperta di immagine, Giovanna Vitacca: «Il capello, che sia bianco o colorato, va gestito anche con un minimo di cura. Si tratta appunto di cura della persona. Cioè, io posso essere sciatta sia che mi tinga i capelli sia che li lasci bianchi».
Ma, scegliere o meno di colorare i capelli ci dice qualcosa in termini di autostima? Secondo Donata Bruzzi: «Ci dice dell’importanza per la persona di corrispondere ad uno stereotipo sociale, e quindi dell’essere uniforme a ciò che il mondo ci propone, come l’immagine della donna dai 50 anni in su. Se la persona sente un forte bisogno di assimilarsi agli altri – e tutti noi, chi più chi meno, lo avvertiamo -, sarà più propensa a fare un certo tipo di scelta, anche per la propria immagine, in funzione di quello che il mondo propone. È anche vero, però, che nel tempo, noi possiamo cambiare in termini di autostima, come anche le priorità rispetto alle quali valutiamo noi stesse – discorso che vale anche per gli uomini ovviamente – ed è possibile che una donna che si ritrova in una fase della vita in cui certe priorità legate all’apparire sono meno rilevanti – perché ci sono altri modi per soddisfare se stesse – senta meno il bisogno di corrispondere ad un’immagine di perfezione o a un ideale di giovinezza che non le corrisponde più».
E, a questo punto, viene da chiedersi perché questa cosiddetta “svolta grigia” avvenga proprio in questa fase storica. Donata Bruzzi sostiene che: «Siamo in un momento sociale in cui torna l’attenzione all’alimentazione sana, all’ecologia, all’avere uno stile di vita orientato al benessere e, in tutto questo, potrebbe sposarsi molto bene una filosofia che ci vede più naturali anche nella nostra immagine fisica». Tanto più che, stando all’esperienza nel campo della moda di Giovanna Vitacca: «C’è una tendenza globale (lei insegna anche semiotica della moda n.d.r.) alla maggiore attenzione dell’individuo a quella che è la collettività. Negli anni Ottanta, Novanta e i primi Duemila si parlava molto di omologazione, un fenomeno ovviamente spinto dal consumismo. Tutti dovevamo avere la maglietta logata perché questo ci faceva sentire parte di un gruppo. Oggi, non è un caso, c’è una ricerca della propria unicità, c’è la voglia di differenziarsi. Rifioriscono le sartorie perché le persone preferiscono un capo sartoriale – che è anonimo dal punto di vista del logo -, ma che è solo mio».
Eppure, è indubbio che la scelta di rinunciare al capello colorato possa anche avere a che fare con qualcosa di più ampio, un movimento di emancipazione femminile di cui le donne senior sono presumibilmente apripista.
«C’è una maggiore presa di coscienza delle donne – aggiunge la psicologa Donata Bruzzi -. Si tratta di una seconda primavera rispetto ai movimenti che ci sono stati nel passato. Si parla ormai in modo aperto di temi come la violenza, consapevoli come siamo anche del grosso divario di trattamento economico e di responsabilità tra uomini e donne nel mondo del lavoro».
Un passaggio non da poco se si pensa che sta permettendo alle donne di evolvere rispetto allo stereotipo imperante di una donna che si occupa della famiglia, fin troppo attenta all’immagine estetica, verso una donna che ha priorità anche diverse, come la realizzazione professionale, interessi personali che vadano oltre gli aspetti concernenti quasi esclusivamente la vita familiare.
«Credo che questo abbia a che fare con la possibilità di costruire un’immagine di sé che va oltre lo stereotipo sociale – sottolinea Bruzzi – e che si incarna con una rappresentazione più sincera della persona, delle sue priorità, dei suoi bisogni, che lascia andare i temi dell’apparire verso un’identificazione più coerente con ciò che siamo nei diversi cicli della nostra vita».
© Riproduzione riservata