Da diversi mesi l’Ispi, l’Istituto di Politica Internazionale, studia gli aggregati sociali e pubblica statistiche sull’evoluzione del Covid. Secondo gli ultimi dati, ad oggi, sono 643.219 le persone sottoposte alla prima delle due somministrazioni del vaccino. Di queste, secondo l’Ispi, 518.150 sono operatori sanitari e socio sanitari, 83.319 rappresentano il personale non sanitario e solo 41.675 sono ospiti delle Rsa. Finora un operatore su 3 ha avuto la prima dose, ma solo 1 su 7 degli ospiti delle Rsa ha goduto di eguale trattamento.
C’è sicuramente una sperequazione. Ma i numeri illustrano la proiezione statistica di quel che si è fatto con già 4.000 vite salvate. Vite di persone fragilissime, i nostri nonni, ottantenni, novantenni anche centenari ai quali persino la più lieve esposizione al Covid risulta fatale. Ma l’analisi stima che se le operazioni di vaccinazione fossero state prioritariamente rivolte alla fascia debolissima del gruppo sociale più esposto, le vite salvate, immaginando un complessivo di 290mila dosi somministrate, sarebbero cresciute molto: 14.200.
Naturalmente non è in discussione il diritto di medici e infermieri di godere sin da subito del vaccino. È in discussione la gerarchia da osservare in questi giorni: nell’urgenza chi sono gli urgentissimi. Distinguere i sanitari tra coloro che operano nei reparti Covid e quelli invece destinati alle normali funzioni, mettere in coda (solo di qualche settimana), per esempio, gli operatori non sanitari, agevolerebbe il pronto soccorso dei debolissimi.
Tra le Regioni solo Molise, Umbria, Toscana, Lazio e la provincia autonoma di Trento hanno destinato più del 30% delle dosi agli ospiti delle Rsa.
SINTESI DI: Ancora troppo pochi gli anziani vaccinati: gli ultimi restano gli ultimi, www.ilfattoquotidiano.it, 11-01-2021
© Riproduzione riservata