Giancarlo Callegari.
Ex commerciante e agente di commercio, ama scrivere ricordi, situazioni e storie di vita vissuta. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Ancona.
Guerra da sfollati
Abitare a Imola in quei mesi era molto pericoloso a causa dei ricorrenti bombardamenti aerei.
A Imola c’erano alcune fabbriche meccaniche che erano state convertite a produrre armamenti.
La maggiore era la fabbrica Cogne che in tempo di pace produceva attrezzature per l’industria tessile.
Il mulino Poiano dove lavorava mio padre si trovava nella stessa zona ed era stato chiuso.
Convinti dai nonni e dagli zii siamo sfollati a Medicina la città originaria dei miei genitori, che sembrava più tranquilla e dove si trovava più facilmente il cibo.
C’era il riso coltivato nelle risaie, il granoturco per la fare la polenta fagioli e altro.
Il grano era requisito.
Si trovava anche il pesce di valle e le rane.
Ogni tanto era disponibile anche la carne degli animali morti per le bombe e le granate.
Le donne, informate dal passaparola, correvano a ritirare la loro razione chiamata ‘di bassa macelleria’.
Nonna Augusta in quelle occasioni metteva a bollire la pentola per cucinare il lesso.
Per qualche giorno si mangiava riso in brodo di carne, lesso e polpette.
Si trovava anche lo zucchero perché in campagna si coltivavano le barbabietole; era uno zucchero non raffinato scuro ed appiccicoso simile allo zucchero di canna che ora è di moda.
Mio padre aveva trovato lavoro in un mulino dove i contadini andavano a macinare il granoturco e altri cereali. In cambio della macinatura lasciavano parte del macinato, come nell’antichità.
Questa economia del baratto aveva preso piede e le contadine potevano trovare al mulino anche piccole cose necessarie per la casa: filo, aghi e bottoni.
A volte anche qualche pezzo di stoffa.
Si barattavano con uova, polli, formaggio o altro.
Il Rastrellamento
Quel pomeriggio abbiamo sentito i passi cadenzati dei soldati tedeschi risuonare sulla strada.
Stavano rastrellando gli uomini che incontravano per strada e anche quelli che incautamente si affacciavano alle finestre per vedere cosa stava succedendo.
In un baleno si sparse la voce che i soldati stavano catturando uomini per portarli alla stazione e caricarli su di un vagone; destinazione Germania a lavorare nelle fabbriche tedesche.
Nonno Fernando chiamò zio Delmo che lavorava per la ferrovia e si precipitarono alla stazione.
Nonno Fernando si mise al braccio la fascia, prese la bandiera rossa e il lasciapassare che gli servivano per il servizio antiaereo.
Zio Delmo aveva la divisa da ferroviere, il cappello con la visiera e il tesserino da ferroviere.
Corsero alla stazione dove sulla panchina c’era già pronto il vagone.
Cominciarono a gridare in maniera concitata dicendo che quegli uomini dovevano restare a Medicina perché erano necessari a sorvegliare i binari e a riparare la ferrovia dai danni causati da eventuali bombardamenti.
La loro reazione così violenta dettata forse della disperazione di quei momenti, fu talmente efficace che i tedeschi liberarono le persone che avevano rastrellato.
Un giorno il fronte era appena passato, sulla stessa via passò un gruppo di partigiani o sedicenti tali, che distribuiva a chi li voleva, la fascia da partigiano da mettere al braccio.
Certamente era una azione organizzata dai dirigenti centrali per fare aumentare, anche visibilmente, il numero dei consensi popolari nel conteggio degli aderenti a quella parte politica.
Erano le regole della democrazia appena nata dopo la nefasta dittatura.
Più consenso popolare, più potere politico.