Mi permetto una proposta diversa dal consueto, indicando una realizzazione che potrebbe indurre molti a fare “qualche cosa di possibile”, con rilevante utilità per la comunità e anche con notevole soddisfazione personale.
I Caffè Alzheimer sono un’iniziativa che si va diffondendo in tutto il mondo, sull’originale modello olandese; anche in Italia stanno avendo una certa fortuna.
Di cosa si tratta? Un gruppo di persone si impegna ad organizzare, almeno una volta alla settimana, un incontro di 2-3 ore in un luogo piacevole, dove si possano riunire alcune persone affette da demenza e le loro famiglie. Si crea un’atmosfera di collaborazione nel corso della quale i famigliari si scambiano impressioni, interrogativi, informazioni sugli aspetti più critici, importanti, per meglio assistere i loro cari ammalati mentre questi ultimi vengono intrattenuti da volontari con attività piacevoli, adatte al loro livello di funzione cognitiva, in particolare stimolazione cognitiva e rilassamento. Il tutto deve svolgersi in modo sereno, senza stretti limiti di tempo, condividendo, se possibile, uno spuntino con qualche dolce (da qui il termine “Caffè”).
Nei Caffè, quando necessario, sono a disposizione esperti sia in ambito psicologico sia in quello organizzativo e clinico, in grado di rispondere a specifiche esigenze. Il modello è già stato ampiamente sperimentato e si è dimostrato di utilità da diversi punti di vista.
La crescita dei Caffè Alzheimer è la conseguenza di una certa crisi dei modelli assistenziali tradizionali, costosi e quindi di difficile realizzazione, ma anche del desiderio di fornire un’assistenza più personalizzata, meno burocratica e più vicina alle esigenze degli ammalati di demenza.
Oggi, in Italia, sono presenti e attivi circa 150 Caffè (manca però un’anagrafe e quindi il numero è frutto di una valutazione in base ad informazioni ufficiose); sono nati spontaneamente e sono organizzati da associazioni di famigliari, gruppi di volontariato religioso o laico, sindacati dei pensionati, altre realtà associative a livello locale.
Una ricerca condotta negli anni scorsi dalla Fondazione Unicredit ha dimostrato che la partecipazione agli incontri organizzati presso i Caffè Alzheimer esercita un effetto positivo sulle persone affette da varie forme di demenza, in particolare sulla riduzione dei disturbi comportamentali e sui famigliari, perché diminuisce il burden of disease, cioè il carico psicofisico affrontato dalle persone che forniscono assistenza. Nel loro insieme, i dati dimostrano che la frequentazione di un Caffè induce miglioramenti significativi della condizione dell’ammalato, nella persona che di lui si prende carico e degli indici che misurano il peso dell’assistenza sulla famiglia. Su questa stessa linea si collocano i risultati positivi ottenuti attraverso la valutazione della frequenza e della gravità dei disturbi comportamentali; questi ultimi, infatti, diminuiscono, riducendo il loro carico psicologico e pratico sulla vita di chi fornisce assistenza. La presenza di disturbi comportamentali è in effetti la causa più frequente di aumento della disabilità e di istituzionalizzazione, nonché di gravi difficoltà nell’assistenza (maggiore frequenza di interventi medici, di prescrizioni farmacologiche, maggiori costi di gestione della malattia, più elevato stress del caregiver che induce, di conseguenza, un aumento dello stress anche nell’ammalato e un peggioramento del livello di autonomia nelle attività della vita quotidiana, già compromessa dal deficit cognitivo). È certamente il dato più significativo sul piano pratico, perché il disturbo comportamentale è l’aspetto che maggiormente interferisce con la vita della famiglia, provocando crisi difficilmente gestibili e aumentando il rischio di istituzionalizzazione dell’ammalato.
Anche il miglioramento della qualità della vita si colloca nella prospettiva complessiva di un effetto non banale derivante dalla permanenza nei Caffè Alzheimer rispetto alle difficoltà indotte dai compiti di cura affidati ai famigliari o ad altri caregiver.
Gli effetti positivi legati alla frequentazione dei Caffè talvolta non sono sufficienti rispetto alla gravità della condizione di stress di chi fornisce assistenza; in questi casi, gli operatori possono facilitare l’appoggio ad altri servizi, quali i ricoveri di sollievo o l’accesso ad un centro diurno per demenze. Nell’insieme, però, si osserva un netto miglioramento da parte dei famigliari nelle capacità di offrire aiuto per un lungo periodo, senza che il sopraggiungere di crisi impedisca il mantenimento nel tempo di un servizio di alta qualità.
Questa descrizione, seppur breve, dei risultati ottenibili attraverso un’attività che ha costi molto bassi, ma che comporta impegno, creatività, generosità da parte di chi organizza i Caffè, ne conferma l’importanza sul singolo ammalato e sulla comunità. Chi scrive può inoltre riferire che chi si impegna in questa attività ne trae grande soddisfazione, perché i risultati si rilevano in breve tempo e concretamente, dando valore al tempo dedicato. È quindi davvero un’attività “possibile” che produce notevoli risultati.
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulle demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
© Riproduzione riservata