Si attesta intorno al 20% la percentuale di dipendenti che sperimenta sintomi di burnout a livello globale. L’80% di lavoratori giovani sarebbe disposto a lasciare.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto il burnout come una condizione medica associata a stress cronico sul lavoro non adeguatamente gestito, inserendolo nella Classificazione Internazionale delle Malattie. La sua diffusione rivela che, a livello globale, la percentuale di dipendenti che sperimenta sintomi di burnout si attesta intorno al 20%.
Il burnout colpisce lavoratori giovani
Questo fenomeno colpisce in modo più significativo dipendenti di aziende più piccole, che non ricoprono posizioni manageriali e i lavoratori più giovani. In particolare, l’80% di dipendenti appartenenti a Gen Z e Millennial sarebbe pronto a lasciare il lavoro, a causa di una cultura aziendale tossica. “Questi dati sottolineano la necessità di porre attenzione ai processi di ascolto dei propri dipendenti, monitorando costantemente il clima aziendale”, ha sottolineato Francesca Verderio, Training & Development practice leader di Zeta Service.
Le cause
I conflitti interpersonali, la mancanza di chiarezza riguardo a compiti, responsabilità e obiettivi, la pressione legata alle tempistiche e al carico di lavoro possono portare a confusione, stress e scarsa produttività, determinando il burnout dei dipendenti, una condizione medica associata allo stress cronico sul lavoro non adeguatamente gestito, ufficialmente riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Le percentuali
Secondo un recente sondaggio condotto dal McKinsey Health Institute su 30.000 dipendenti in 30 paesi, il 22% dei lavoratori a livello globale sperimenta sintomi di burnout, sebbene esistano differenze sostanziali tra le nazioni. In particolare, i tassi più alti si evidenziano in India (59%), mentre i più bassi in Camerun (9%); anche l’Italia si colloca nella parte bassa della classifica, riportando solo il 16% dei sintomi di burnout, nonostante la percentuale di esaurimento delle forze e conseguente stanchezza fisica e mentale sia alta (43%).
A livello demografico, invece, i dipendenti di aziende più piccole, che non ricoprono posizioni manageriali e i lavoratori più giovani riferiscono sintomi di burnout più elevati. Infatti, secondo quanto emerge da un altro recente sondaggio pubblicato su People Management, circa il 50% dei dipendenti appartenenti a Gen Z e Millennial si sente stressato sul posto di lavoro per la maggior parte del tempo, mentre circa l’80% sarebbe addirittura pronto a rassegnare le dimissioni a causa di una cultura aziendale tossica.
Verderio: “Dimissioni in aumento”
“Moltissime aziende negli ultimi anni ci hanno segnalato una maggiore difficoltà a trattenere le risorse, c’è stato infatti un significativo aumento delle dimissioni in tanti settori diversi, che ha portato il tema della retention al centro del dibattito di HR e dirigenti: in quest’ottica mettersi in ascolto delle proprie persone e quindi monitorare costantemente il clima aziendale diventa fondamentale”, ha commentato Francesca Verderio, Training & Development practice leader di Zeta Service, azienda italiana specializzata nei servizi HR e payroll.
Le frequenti dimissioni dei giovani rappresentano per il 60% dei talent manager uno dei più grandi ostacoli per l’introduzione di nuove skill e la crescita dell’impresa. Più in generale, come evidenziato da CNBC, il calo della soddisfazione lavorativa registrato dal 2020 ad oggi potrebbe impattare sull’economia globale con una perdita di circa 8,8 trilioni di dollari in termini di produttività. In questo scenario, il sondaggio del McKinsey Health Institute ha evidenziato che un ambiente di lavoro positivo consente ai dipendenti di sperimentare un benessere maggiore e di essere più innovativi e performanti nello svolgimento delle proprie mansioni.
Il valore del benessere
Questo trova conferma in un’altra indagine condotta insieme a Business in the Community: il valore economico del miglioramento del benessere dei dipendenti del Regno Unito, potrebbe oscillare tra 130 e 370 miliardi di sterline all’anno (6-17% del PIL). Questo equivale a 4.000-12.000 sterline per dipendente.
“Questi dati sottolineano la necessità, per le imprese, di monitorare costantemente il clima aziendale – spiega la Verderio – Conoscere le esigenze e le opinioni dei dipendenti è fondamentale per migliorare tutti gli aspetti della vita lavorativa. Tra questi, l’analisi di clima è particolarmente immediato ed efficace, permettendoci di capire che cosa pensano le persone dell’azienda rispetto al luogo di lavoro e quindi, per esempio, il senso di appartenenza, il committment, quanto l’azienda si prenda cura delle proprie persone in termini di benessere psicologico e salute, il supporto offerto dal proprio team, l’equità o l’eticità dei comportamenti manageriali, piuttosto che le possibilità di formazione o di percorsi di carriera”.
“Le aziende non sopravvivono senza trasformazione”
Un clima aziendale positivo è correlato al maggiore coinvolgimento nel lavoro e la migliore collaborazione tra dipendenti e migliori performance, la crescita del senso di appartenenza all’organizzazione, oltre che ad una maggiore attrattività dei talenti e di soddisfazione del cliente. Una ricerca di PwC ha evidenziato che in Italia, per 4 CEO su 10 la propria azienda non potrà sopravvivere per più di 10 anni senza un processo di trasformazione. Un dato ancor più significativo considerando che questa visione nei confronti del futuro della propria impresa viene condivisa anche dal 25% dei dipendenti e, in particolare, dal 44% dei giovani lavoratori intervistati nel corso dell’indagine.
“L’analisi del clima aziendale dev’essere concepita come una sorta di monitoraggio costante – conclude Verderio – E’ fondamentale affidarsi a una società esterna perché può garantire una lettura ragionata e imparziale delle risposte. Con Eleva People Value, sviluppato da Zeta Service Eleva in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia de La Sapienza Università di Roma, la rilevazione viene realizzata sempre in presenza di uno psicologo”.
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