Molti rapporti umani si sono spostati sulla rete e ciò ha cambiato anche il modo di fare e subire vessazioni e prevaricazioni. Per questo Fare X Bene Onlus insegna, ai giovani e agli adulti, che la vita va vissuta nel reale
Secondo i dati delle Nazioni Unite, sono 246 milioni i bambini e gli adolescenti che nel mondo subiscono episodi ascrivibili al bullismo, in pratica uno su tre. In Italia il fenomeno riguarda un terzo dei 4 milioni di ragazzi fra gli 11 e i 17 anni. Anche il cyberbullismo è in aumento e interessa, in varie forme, fra il 5 e il 20% dei minori.
«Il bullismo si definisce secondo una serie di caratteristiche – spiega a 50&Più Giusy Laganà, direttrice generale di Fare X Bene Onlus, un’associazione che si occupa di formazione e contrasto alle discriminazioni e alla violenza, e che ha all’attivo numerosi progetti con gli adolescenti – perché riguarda la minore età, presuppone un contesto di aggregazione come la scuola, gli spogliatoi della palestra, il parco frequentato dai ragazzi, e si connota per la ripetizione dell’atto di sopraffazione; fra il bullo e la vittima c’è un’asimmetria, perché il primo ha una posizione di prevaricazione rispetto al secondo. Il bullo ha bisogno della legittimazione del gruppo nel prendere di mira qualcuno e isolarlo dagli altri, farlo sentire sbagliato. Anche nella violenza di genere funziona così, la matrice comune è la solitudine, ma la funzione del gruppo può essere anche ribaltata, e diventare punto di forza nella denuncia e nel contrasto alla violenza».
In cosa si differenzia il cyberbullismo rispetto al bullismo?
C’è una caratteristica che il cyberbullismo non ha rispetto al bullismo, che è la reiterazione, perché nel mondo “online” basta postare una sola volta. Spesso i ragazzi minimizzano la pubblicazione di una foto o di un video in rete, perché pensano che poi basti cancellare questi contenuti: quello che non sanno, e che va spiegato loro, è che su internet l’oblio non esiste e tutto ciò che finisce online contribuisce a creare quella che si definisce la “web reputation” di ognuno. Chi cerca informazioni su una persona per prima cosa digita sui diversi motori di ricerca il suo nome, e l’immagine che diamo di noi “online” deve risultare coerente con quella “offline”.
Questi due anni di pandemia hanno ampliato l’uso della rete in molti ambiti della vita: cosa ha significato per gli adolescenti?
Certamente abbiamo vissuto un cambiamento epocale, che ci ha spinto a fare i conti con un’affermazione che nella nostra esperienza di educatori si è rivelata completamente errata, ossia che i giovani nati dopo il Duemila – che abbiamo sempre chiamato “nativi digitali” – non sono affatto nati con delle competenze digitali, ma semplicemente si sono ritrovati in un contesto storico dove il digitale è una forma di comunicazione e relazione con i propri pari e rappresenta la principale modalità di interazione. Durante gli ultimi due anni abbiamo dovuto cambiare completamente la nostra modalità di interazione lavorativa e sociale, ma mentre noi adulti arrivavamo da un’esperienza fisica, i ragazzi hanno vissuto tante esperienze direttamente online, senza che gli venisse spiegato che quel mondo era la trasposizione del reale e che c’erano comunque delle regole da rispettare. Invece c’è stato uno sdoganamento di tutta una serie di comportamenti.
Con quali conseguenze?
Anche le relazioni intime si sono spostate nel mondo virtuale: sono stati scambiati contenuti fotografici, video, anche privati, che hanno sostituito la presenza fisica. E nel farlo i ragazzi e le ragazze si sono sentiti a proprio agio perché quegli scatti o quelle riprese avvenivano nella propria confort zone, nella cameretta di casa, fra coetanei con un rapporto di fiducia reciproca, almeno in quel momento. Questo scambio di contenuti a sfondo sessuale, definito “sexting”, di per sé non è reato: il problema si pone con l’uso che viene fatto di quelle immagini, se, ad esempio, per vendetta vengono messe online, oppure stampate e affisse in giro per il paese, esponendo la vittima alla pubblica gogna. Immaginate le conseguenze su una ragazzina, il senso di vergogna e di impotenza. Ciò che ha a che fare con il cyberbullismo quindi non solo è un tema di rete, ma anche di genere, perché il fenomeno colpisce soprattutto le ragazze, più esposte al pregiudizio sociale dei loro coetanei maschi. Questo fenomeno ha anche un nome, si chiama “vittimizzazione secondaria” e non avviene solo su internet: basti pensare che ancora oggi una donna violentata finisce sul banco degli imputati e deve dimostrare di non essersela cercata, di non aver provocato.
La Legge 71 del 2017 definisce e affronta il cyberbullismo: alla luce della vostra esperienza si è rivelata utile?
La Legge del 2017 definisce quali sono i reati di cyberbullismo, e ha determinato nelle scuole la presenza di un referente che possa raccogliere le segnalazioni, riconoscere quando si configura un reato e denunciarlo. Il messaggio che cerchiamo di far passare, anche come Fare X Bene, è che l’aiuto di un adulto serve e va cercato. Per questo la formazione deve passare anche dalle famiglie: spesso gli adulti sono i primi a minimizzare certi comportamenti, troppe volte non conosciamo e non ascoltiamo i nostri ragazzi, soprattutto in relazione al loro mondo online. Sappiamo che sono fisicamente a casa, o a scuola, ma non conosciamo chi frequentano attraverso i social e le chat, quali giochi fanno, come e con chi si sfidano, con “challenges” dalle conseguenze a volte drammatiche. Sottovalutiamo che inseriscano e cedano i propri dati personali a tante piattaforme, e che ne accettino inconsapevolmente le regole di iscrizione, che nessuno legge mai prima di sottoscrivere. Bisogna spiegare, ai ragazzi come agli adulti, che quando si commette un atto ascrivibile al cyberbullismo, il genitore deve dimostrare di aver fatto di tutto per impedirlo, e che le conseguenze di quell’atto devono essere risarcite. Allo stesso tempo, però, bisogna puntare sulla consapevolezza e sull’educazione al rispetto dell’altro e della sua diversità da sé stessi, più che sulla paura della punizione.
Come funziona il lavoro di Fare X Bene nelle scuole?
Il lavoro che facciamo è multidisciplinare: entriamo nelle scuole elementari, medie e superiori di tutta Italia, con progetti del Ministero della Pubblica Istruzione, di aziende pubbliche e private, di enti e associazioni, e insieme a psicologi, avvocati, professori, esperti digitali e del web, formiamo i ragazzi su ognuno di questi aspetti: l’accettazione di sé, gli stereotipi, il pregiudizio, l’unicità di ognuno come punto di forza. Perché il bullismo colpisce tutti, ma se un ragazzo ha interessi, esempi sani e coerenti, buone relazioni, forse avrà meno tempo e voglia di vessare gli altri. Allo stesso modo lavoriamo anche con gli insegnanti, il personale Ata (personale amministrativo, tecnico, ausiliario n.d.r.), le famiglie, e cerchiamo di costruire reti sul territorio. E, infine, lavoriamo con gli educatori alla pari, ragazzi che aiutino i coetanei a difendersi dagli haters, dagli hackers, che condividano la loro esperienza e dimostrino che certe situazioni si possono risolvere. Quello che cerchiamo di insegnare è che la vita va vissuta concretamente, nel reale, cercando amici veri, perché quelli virtuali spesso nemmeno si conoscono, anche se si hanno più informazioni su di loro che sulla propria famiglia. Non a caso come “compito” assegniamo l’intervista ai genitori, puntiamo su attività di aderenza alla realtà, che contemplino anche l’uso consapevole di internet. Dobbiamo pensare che l’accettazione di un adolescente fra i suoi pari oggi non passa più solo attraverso il mondo fisico, ma anche quello online: ci sono ragazzi che si fanno regalare i “like” e i followers dai genitori, o che cancellano i loro contenuti perché non hanno ottenuto abbastanza consenso, che ambiscono a diventare “influencer”, ad avere un lavoro basato solo sulla popolarità in rete. Insomma dall’online si passa all’“on-life”. La grande sfida è ascoltare i ragazzi, con la voglia di imparare e mettersi in discussione, continuando a studiare e a costruire nuovi progetti. Quello che vogliamo insegnare è che nessuno deve sentirsi solo, nascondere i suoi sentimenti o vergognarsene, essere costretto a fare qualcosa che non vuole, pensare di essere sbagliato. Ricordandosi di non fare agli altri sul web ciò che non si farebbe de visu.
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