Marinella Bongiolatti.
In pensione da sette anni, si dedica alla sua passione: scrivere. Partecipa al Concorso 50&Più per la quarta volta; nel 2019, nel 2020 e nel 2021 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa. Vive a Berbenno di Valtellina (So).
Sono tornata nella vecchia baita della mia infanzia e tutto è come allora. Soltanto il casello del latte è crollato e all’interno vi sta crescendo un albero. Nessuno vi abita più, né uomini, né animali. Chiudo gli occhi e improvvisamente il tempo non è passato: mi rivedo bambina distesa nel vecchio letto fatto di fieno e ricoperto con grosse lenzuola di canapa. Con me dormono mio fratello Bruno e mia cugina Nadia, la nonna Rosina e lo zio Luigi.
Le mucche, nella stalla al piano di sotto, stanno ruminando e uno scarnito asinello mi sveglia col suo ragliare. La luce dell’alba filtra attraverso le fessure del tetto fatto con travi di legno e grande lastre di pietra, recuperate da mio padre e mio zio in una valle lontana e portate tutte in spalla insieme ai sassi per costruire la casa.
Due topolini si rincorrono furtivi; si fermano e mi fissano come se fossero loro ad aver paura di me. Quando arriva il temporale, il vento filtra attraverso i muri costruiti a secco creando una sinfonia tetra, l’acqua passa attraverso il tetto costringendoci ad aprire l’ombrello per non bagnarci; i tuoni e i fulmini non ci spaventano anzi, ci divertiamo tantissimo.
Nel camino senza canna fumaria, la nonna sta cucinando in un paiolo reso completamente nero dal fumo. Ci prepara le tagliatelle condite con burro fresco e formaggio abbondante dell’alpeggio: come sono buone e apprezzate da noi bambini! Il fumo del camino però ci brucia gli occhi e ci fa lacrimare, ma la porta di legno, sempre aperta, ci permette di ammirare le Alpi Orobie che si stagliano maestose di fronte a noi.
Non c’è il tavolo e mangiamo seduti su sgabelli di legno, con il piatto appoggiato sulle ginocchia, il bicchiere ai nostri piedi.
I ricordi si susseguono più vivi che mai e affollano la mia mente come quando i miei genitori portarono un fornello a gas in baita: l’inizio del progresso.
Per l’acqua, andiamo alla fontana parecchie volte al giorno con i secchi che poi trasportiamo alla baita, versandone la metà lungo il percorso, mentre per la luce usiamo le candele o la lampada a cherosene e di notte il fanale. I servizi igienici: sono la stalla o il bosco.
Andiamo molto d’accordo noi bambini, giochiamo sempre insieme e i nostri sono giochi di fantasia: la capanna sugli alberi, il negozio, le acrobazie sulla “corna”, il grande masso verticale in mezzo al prato che ha visto generazioni di bambini vocianti passare sopra d lui felici e contenti. E’ arrivato lì portato dai ghiacciai migliaia di anni fa spezzandosi in due parti, lasciando una larga fessura che si può attraversare. Una volta saliti sulla cima scavalchiamo con un salto la fenditura e ci troviamo così sull’altra cima per poi fare la gara a chi scende prima a terra.
Nel prato c’è anche un altro grosso masso supino, usato come scivolo dai bambini più piccoli.
Vi è anche una bellissima chiesetta, posta proprio su un cucuzzolo visibile da tutte le vecchie baite. Lì è bello giocare a nascondino o dondolare su un’asta di ferro.
Noi bambini, pieni di vita e mai stanchi, andiamo percorrendo sentieri impervi e salite ripide, raccogliendo fragole e mirtilli che poi mangiamo a casa, conditi con lo zucchero. Qualche volta seguiamo la nonna e lo zio in posti sperduti, dove loro tagliano l’erba e la mettono in grandi gerle, e con grande forza fisica, la portano agli animali in baita, che ne sono ghiotti. Noi invece scorrazziamo per i boschi in cerca di avventure.
A fine luglio accompagniamo la nonna nella migrazione delle mucche verso i pascoli più alti dove restano per circa un mese. Nonna fa strada alla piccola mandria chiamando ogni mucca col suo nome e loro le rispondono con un delicato muggito. Il sentiero è impervio e in certi punti anche pericoloso e capita a volte che una mucca o un vitello cada in uno dei burroni e per loro non vi è più speranza.
Noi tre ragazzini rimaniamo dietro, armati di bastone, ad incitare al passo le mucche. Nelle vicinanze dell’alpeggio le bestie aumentano l’andatura impazienti di raggiungere il pascolo e anche noi, stanchi e assetati, giunti a destinazione beviamo l’acqua fresca del torrente, circondati da alte cime e ghiacciai splendenti. Lassù un’ aquila volteggia sopra di noi, che paura! Non è che ci vuole attaccare?
Una mucca ha partorito un bel vitellino e la nonna l’ha vegliata tutta la notte. Il parto è stato lungo e travagliato ed è stato chiamato anche il pastore, ma finalmente ecco la bestiolina già in piedi, che succhia golosamente il latte.
Mia nonna tiene anche alcune capre che vivono allo stato brado, si reca alla Corna, dove c’è un forte eco e con un fischio particolare le richiama.
Le capre partono dalla cima, dove stanno pascolando e si avviano giù per la montagna saltando dirupi e fossati e in cinque minuti scendono festose. Come premio si prendono carezze e sale. Constatato che stanno bene la nonna le rimanda di nuovo al pascolo.
Partiamo una mattina di buon’ora per raggiungere, camminando più di due ore, una valle bellissima circondata da montagne verdi, che si specchiano nel piccolo torrente che scorre placido e tranquillo. All’orizzonte i “Corni Bruciati”, desolate torri di roccia rossa.
Nonna raccontava che i “Corni Bruciati” una volta erano montagne ricche di pinete e pascoli rigogliosi.
La leggenda racconta che un giorno vi giunse un mendicante stanco e affamato e rivolgendosi a due pastori chiese un po’di ristoro. Il primo gli disse che poteva offrirgli solo gli avanzi del cane, l’altro ebbe pietà lo rifocillò e gli offrì il suo giaciglio.
Il mattino seguente il mendicate prese in disparte il pastore buono e gli ordinò di lasciare subito la montagna senza mai voltarsi, qualunque cosa potesse sentire. Il pastore vide il suo aspetto trasfigurarsi, divenendo luminoso e maestoso, capì che si trattava del Signore, per cui obbedì. Mentre scendeva, cominciò a sentire alle proprie spalle grida, rumore di piante e sassi che rotolavano a valle e troppo curioso di sapere l’accaduto, non resistette e volse lo sguardo.
Fece appena in tempo a vedere uno spettacolo apocalittico, un rogo immane che divorava i boschi, la stessa montagna si sgretolava e perdeva enormi massi che precipitavano a valle.
Vide solo per un istante, perché fu subito accecato da due scintille che gli arrivarono veloci addosso. Pregò il Signore di perdonare la sua disobbedienza e questi lo esaudì dicendogli che per riavere la vista avrebbe dovuto battere il piede contro il terreno e bagnare gli occhi all’acqua della sorgente che sarebbe scaturita e così fu! Da quel giorno la fonte venne chiamata “Acqua degli occhi”.
Ci sdraiamo sull’erba, circondati da tantissimi fiori bianchi che rendono quasi magico questo posto incantato e guardiamo il cielo e le montagne intorno a noi alte e maestose, ci domandiamo perché mai il Signore si sia arrabbiato così tanto da distruggere tutta la montagna. C’è così tanta pace, vogliamo restare qui per sempre, col vento che ci accarezza il viso, in questo silenzio irreale e meraviglioso.
Insieme a noi abita lo zio Luigi, detto “Luis”, è un uomo di poche parole, gran lavoratore, un uomo duro, tutto d’un pezzo e grande forza fisica. Alto e robusto, ha un braccio tremante dovuto ad un incidente sul lavoro, avvenuto quando era migrante in Australia. Penso ci voglia bene, ci sopporta, alcune volte si lascia pettinare i capelli. E’ una persona rassicurante e non perde mai la calma. Nonna lava le lenzuola alla fontana usando il sapone di Marsiglia, poi le stende sull’erba ad asciugare, di notte ci addormentiamo respirando un profumo di pulito incredibile.
Il quindici agosto festa dell’Assunzione della S. Vergine è un giorno speciale, tutti insieme, bambini e adulti, tagliamo rami e arbusti secchi fino a formare una catasta di legna.
Verso sera, quando dalla chiesa parrocchiale del paese parte la processione per la Madonna, si accende il fuoco che è visibile anche dai paesi in bassa valle.
Lo stesso succede anche sulle altre montagne e quasi vi è una competizione a chi fa il fuoco più grande e visibile.
In paese abbiamo un bel cane pastore tedesco, Rinti (da Rintintin), che qualche volta riesce a liberarsi saltando la rete di protezione, poi, seguendo il suo istinto, raggiungendoci su in montagna. Per noi è una grande festa vederlo arrivare. Abbaia e dimena la coda per la felicità di rivederci e ci segue nei nostri giochi, accompagnandoci in tutti i luoghi. Dopo un paio di giorni, si stufa e riparte per il paese. La sera ci si ritroviamo insieme agli altri abitanti nella casa di una donna vivacissima e piena di fantasia capace di rallegrare le serate con scherzi e giochi vari.
Noi bambini ne abbiamo paura, perché dicono che è una maga e che se la guardiamo negli occhi ci ipnotizza. Un giorno ha fatto una scommessa, inghiottire una rana viva. Noi bambini siamo elettrizzati e anche disgustati, però la nostra maga ha vinto, inghiottendo in un sol boccone la piccola rana.
Giochiamo insieme bambini e adulti e il gioco più divertente è il “capelun”. Si deve avere buona memoria e ricordare il numero assegnatoci, pena il pagamento di un pegno, tipo andare di notte a prendere l’acqua alla fontana, o fare il giro della baita. Ci divertiamo con poco, non c’è nient’altro che la fantasia.
All’inizio degli anni settanta, con l’arrivo della strada, i miei genitori hanno costruito un rifugio, altri casette e arrivano i primi turisti. Il rifugio ha successo, grazie anche alla cucina di mia madre. La sera gli ospiti giocano a carte, chi ha una bella voce intona una canzone e tutti seguono il suo canto. Un vecchio jukebox, che funziona con un generatore di corrente e si accende solo in serate particolari, suona valzer e tanghi scatenando i ballerini presenti.
La pace dei boschi è stravolta dall’arrivo dei cercatori di funghi porcini perché la nostra montagna ne è ricca. Arrivano frotte di persone con zaini e ceste, alcuni partono quando è ancora buio per arrivare sul posto prima degli altri.
Il silenzio è interrotto da voci che rimbombano per tutto il bosco: “Dove sei? Quanti ne hai trovati? Sono porcini, aspetta che arrivo, fammeli vedere, sono belli?”.
Quando poi arrivano al bar del nostro rifugio, è tutto un parlare di funghi, chi ne trova tanti, chi pochi, chi si vanta dei suoi, poi si scopre che li ha comprati da un altro cercatore. Hanno contratto tutti “la febbre del fungo”. I cercatori di funghi locali, invece, sono avvantaggiati rispetto agli altri perché loro conoscono “i posti giusti”. Partono sapendo già dove andare e arrivano carichi di porcini, qualcuno li vende altri li tengono per sé.
Siamo cresciuti bambini sicuri e liberi di scorrazzare nei boschi, sui prati, di fare esperienze che ci hanno fatto maturare e insegnato a ragionare e riflettere. Ogni angolo nascondeva una sorpresa o una promettente avventura.
Non avevamo bisogno di molto per divertirci ed essere felici: non avevamo bisogno di un telefonino; non avevamo bisogno di una playstation; non avevamo bisogno di internet. Avevamo solo bisogno della nostra fantasia.