Geminiano Bevitori. Pensionato con la passione della scrittura. Già Agente Generale Sardegna per la Casa Editrice Scientifica, con precedente incarico nell’editoria Rizzoli, Gruppo Corriere della Sera. Attualmente riveste l’incarico di segretario dell’Associazione Parkinson di Sassari. Partecipa al Concorso 50&Più per la quarta volta. Vive a Sassari.
Era da poco spuntata la luna quando il piccolo peschereccio salpava l’ancora dal porticciolo sulla baia occidentale dell’isola alla volta di un’altra nottata in mare. Era una giornata umida d’autunno, radio bordo prevedeva pioggia e vento forte da nord-est – (un bel grecale insidioso) – ma l’equipaggio non aveva dato peso all’informazione, bisognava uscire in mare fiduciosi, consapevoli che quello era il loro lavoro e l’unico sostentamento delle loro famiglie.
Era una barca non giovane ma ancora solida nello scafo, snella col fasciame pitturato a nuovo, fendeva le onde con la grazia di una ballerina sul palco e il suo dovere lo faceva egregiamente. Era proprio un bel peschereccio.
Purtroppo negli ultimi anni il pescato era diminuito e a malapena bastava per sbarcare il lunario, questa penuria costringeva l’equipaggio a spostamenti più a lungo raggio, alla ricerca di fondali pescosi; l’equipaggio era formato dal capitano, uomo di provata esperienza in mare, tre giovani “mozzi” ben addestrati, e il vecchio nostromo, conosciuto da tutti col nome di “Vecchia Roccia” non per l’età, neppure così avanzata, ma per la sicurezza che trasmetteva la sua presenza, vigorosa e rassicurante.
Il capitano, quel giorno, fece rotta su una secca conosciuta mesi prima, distante diverse miglia dal solito tratto di mare dove era uso pescare, perché quella secca, se pur lontana, aveva dato buoni risultati; avevano issato le reti piene di pesce pregiato e qualche bella aragosta e la prospettiva di ripetere una buona pescata aveva convinto il capitano, che valeva la pena fare rotta in quella direzione.
Mentre dirigevano a sud, verso la secca, il vento cominciava a rinforzare e nel cielo si addensavano nuvole cariche di pioggia. Tutto l’equipaggio manteneva le postazioni senza distrarsi, ma quando le prime gocce cominciarono a cadere e in lontananza il cielo pieno di lampi annunciava un temporale imminente , il capitano , allertato, diede subito l’ordine di chiudere i boccaporti.
I marinai, a questo punto rivolsero lo sguardo a “Vecchia Roccia” cercando in lui la sicurezza che a loro mancava; lui rispose con pochi cenni rassicuranti, facendo intendere che la barra del timone era ben salda nelle sue mani e la barca avrebbe retto alla tempesta.
E la tempesta temuta, arrivò improvvisa!!… Si scatenò con violenza inaudita, raffiche di vento fortissime frustavano le onde, alte più della murata, la scavalcavano furiose, riversandosi sul ponte travolgevano tutto quanto incontravano; imbarcavano tanta acqua e gli ombrinali faticavano a farla defluire; il violento rollio li faceva oscillare pericolosamente e l’albero investito da quella furia mostrava fragilità, vibrando fino alla base.
In quel marasma tutto lo scafo tremava… un attimo dopo fu l’inferno; si sentì la chiglia cozzare violentemente contro uno scoglio sommerso e l’urto tremendo scosse la barca in tutte le commessure, sbandandola a dritta con un angolo pericoloso, l’albero cedette di schianto con rumore assordante, ricadde sul ponte rovinosamente trascinandosi dietro un groviglio di sartie e tiranti, che franarono sul nostromo, imprigionandogli la gamba sinistra.
Il successivo rollio a dritta , trascinò di lato “Vecchia Roccia” e l’arto imprigionato fece una torsione innaturale fino a rompersi; il rumore secco dell’osso che si frantumava gli scoppiò nella testa e un dolore terribile lo pervase mentre l’acqua tumultuosa lo soffocava; sentiva le forze che lo abbandonavano e si dibatteva cercando un appiglio contro la furia della tempesta, poi tutto si oscurò e si senti svenire!!
La mattina, nella bonaccia, il peschereccio senza più timone era alla deriva, trascinato dalla risacca che lo spingeva a sud, verso una destinazione ignota !
In quel disastro il capitano, fiaccato nello spirito e inebetito dal naufragio, si guardava intorno alla ricerca dei suoi marinai. Vide i poveri mozzi con le loro ferite, per fortuna non gravi, tutti salvi; solo il nostromo aveva subito un brutto trauma! Ora giaceva in cuccetta adagiato sul lettino e delirava in preda al dolore lancinante alla gamba; la frattura era molto brutta… e il capitano preoccupato non potendo fare nulla per alleviargli la sofferenza pregava che un soccorso di fortuna arrivasse in tempo.
Finalmente furono avvistati nel tardo pomeriggio da una nave cargo che incrociava quella rotta , gli diede soccorso trainandoli nel porto più vicino, con “Old Rock” non più cosciente e la febbre che lo divorava.
Il vecchio nostromo si risvegliò sul letto di un ospedale, non sapeva dove si trovava, avvertiva solo una sensazione di gelo , come se gli mancasse qualcosa; Lo avevano operato appena dopo lo sbarco e l’amputazione dell’arto fratturato era stata necessaria per la sua sopravvivenza!! Per quanto l’operazione fosse riuscita, rimaneva il dubbio che “Old Rock” potesse riprendere a camminare. Il verdetto fu tragico… in futuro, per camminare, doveva affidarsi alle stampelle, e la cosa ancora più tragica era dover sapere che non avrebbe mai più governato un timone!!
Il mare , che per lui era vita… l’aveva tradito , in un unico colpo di mano gli aveva tolto tutto e lo aveva reso un povero invalido!
Mesi dopo il vecchio Rock tornò alla sua isola con le stampelle e col fardello penoso della menomazione; gli sguardi degli isolani, a suo dire, indecenti, lo resero schivo e taciturno, si chiuse in se stesso e con i suoi ricordi, cercando solo l’oblio. Nei lunghi giorni solitari trascorreva le ore nella taverna sul porto bevendo, raccontando ai pochi avventori quando capitavano, la sua storia, il suo grande amore per il mare, e come questo lo aveva malamente ripagato.
La sfida con il mare, l’aveva dentro e gli rodeva come un tarlo e per farlo tacere , ogni volta che il temporale scatenava la burrasca col vento che ululava fra gli scogli, lui andava sulla promontorio del faro, dove le onde erano più vorticose, abbandonava le stampelle, con il vento che lo sferzava si tuffava tra le onde impetuose nuotando fino allo stremo in quella bolgia di schiuma… finalmente felice, felice perché vivo in quel mare ingrato; stremato, tornava a riva… aveva vinto ancora una volta la sua sfida con l’elemento che lo aveva crudelmente “dimezzato” e non aveva avuto la forza di prenderlo. Fradicio di acqua e di salsedine si rifugiava nella taverna per raccontava agli isolani che lo guardavano increduli, come col suo coraggio era sopravvissuto, trattandoli da paurosi codardi!
Un giorno di burrasca, come altre, Roccia “corse” al faro… ma questa volta non tornò più a riva, il Mare se l’era preso!! In quell’ultimo abbraccio tra le onde impetuose, perse la sfida e se stesso.
Fu per lui la sconfitta più umana che gli fosse capitata; la nemesi fin troppo attesa, era finalmente arrivata per fargli fare pace con se stesso e quello che più aveva amato, il Suo Mare!!!